Quelle parole sono comando che dice una possibilità: potete alzarvi, ma che assegna anche una responsabilità: siete chiamati a uscire dalla paura, da ciò che vi tiene paralizzati a terra, inerti, in posizione di vittime.
Per Matteo la Trasfigurazione è esperienza di obbedienza alle Scritture. Il Gesù trasfigurato è l’obbediente alle Scritture. Un’obbedienza che coincide con la fede stessa. La fede di Gesù, certo, ma anche la fede a cui sono invitati i discepoli. Infatti l’impatto sui discepoli della parola della Scrittura divenuta voce (la frase “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” è composto da citazioni di Sal 2,7; Is 42,1; Dt 18,15) li sconvolge e getta a terra: al volto di Gesù su cui rifulge la luce gloriosa di Dio (v. 2) fa riscontro il cadere sul proprio volto (v. 6), faccia a terra, dei discepoli. La sequela di Gesù porta anche alla caduta, all’oscurità, allo smarrimento dell’identità. La nube che avvolge i discepoli per ora è solo caligine e confusione, ombra e incertezza. Ma qui si situa il cuore dell’esperienza di fede dei discepoli che è vitale per ognuno di noi. In quella crisi, in quello smarrimento di identità, caduti faccia a terra, quando si diventa estranei al proprio volto, i discepoli fanno un’esperienza di ascolto di una parola che si trasforma in visione di Gesù. Ascoltata la voce al cuore del buio della nube, udita la parola scritturistica nell’indistinzione e nella paura, essi arrivano ad alzare gli occhi e a vedere Gesù solo (“Alzando gli occhi non videro nessuno se non Gesù solo”: Mt 17,9). La trasfigurazione di Gesù è anche passaggio dei discepoli dalle tenebre alla luce, dal non vedere al vedere il volto di Gesù. Tutte le Scritture sante, la Legge e i Profeti, ora i discepoli li vedono in Gesù solo. Nella spoglia e gloriosa umanità di Gesù. Ecco l’esperienza nuda ed essenziale della fede, sempre da nutrire, coltivare e rinnovare: l’ascolto della parola della Scrittura che si condensa nella persona e nella vita di Gesù.
Alla Trasfigurazione è il Padre che indica in Gesù il Figlio (Mt 17,5). Al cuore della Trasfigurazione vi è la proclamazione dell’identità di Gesù. Chi è Gesù? Chi è l’uomo alla cui sequela si sono messi Pietro, Giacomo e Giovanni? C’è una luce su Gesù e di Gesù che emerge nella solitudine, in disparte, nel luogo appartato, nel silenzio. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte” (Mt 17,1). Il luogo della trasfigurazione non è solo geografico, un alto monte, ma indica una condizione spirituale: la presa di distanza senza la quale la nostra vita si imbarbarisce e diventa piatta, insignificante, perfino volgare. Presa di distanza dalle troppe e distraenti presenze, presa di distanza dalle troppe e dispersive parole, presa di distanza dal troppo e angoscioso fare. Sull’alto monte vi è l’essere soli con Gesù da parte dei discepoli, e l’essere solo di Gesù con pochi discepoli. Poche presenze, poche parole: condizioni in cui avviene la trasfigurazione. Che è esperienza anche di pudore.
Mentre i discepoli erano riversi a terra, “Gesù si avvicinò, li toccò e disse: ‘Alzatevi e non temete’” (Mt 17,7). Questo versetto, proprio di Matteo, è al cuore del racconto. La parola di Dio ascoltata raggiunge in modo vitale i discepoli nella carne umana di Gesù che si fa loro prossimo, li tocca con dolcezza e dice loro che possono risollevarsi, che hanno il diritto di non aver più paura, ma che hanno anche la responsabilità di uscire dalla paura, hanno il compito di raccogliere le forze per rialzarsi. Quelle parole sono comando che dice una possibilità: potete alzarvi, ma che assegna anche una responsabilità: siete chiamati a uscire dalla paura, da ciò che vi tiene paralizzati a terra, inerti, in posizione di vittime. Quel comando: “Alzatevi” o “Alzati” è spesso detto a persone segnate da malattie e prostrate da sofferenze: un paralitico (Mt 9,5), un mendicante cieco (Mc 10,49), un uomo con una mano inaridita (Mc 3,3). Chiedono, questi comandi, che si tolga lo sguardo da sé, dalla propria situazione sofferente, che si esca dal vittimismo e si volga lo sguardo e si porga l’orecchio alla parola del Signore. Questo è entrare nella fede, ma anche crescere in umanità. Andando in profondo, che è sempre anche, prima o poi, andare a fondo.
(dal commento di Luciano Manicardi)
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