Possiamo fare tutto, dire tutto, sperimentare tutto: vestirci di lustrini per andare a fare la spesa e praticare l’amore “liquido”, magari rivendicando bellamente la nostra “fluidità”; andare in Australia in poche ore e discettare di materie che non ci appartengono neppure un po’, eventualmente senza dover rendere conto a nessuno delle scempiaggini che abbiamo lasciato ai posteri sui social. Ma siamo davvero liberi?
Non è un paradosso, uno spettacolo sulla libertà, in un’epoca in cui il ventaglio delle possibilità di fare e dire quel che ci pare si estende quotidianamente?
«Bella domanda, ma al di là di quest’apparenza immediata - ciascuno si muove, si veste, parla, si atteggia, si determina come ritiene - se scendiamo nella profondità di noi stessi sappiamo tutti benissimo che si tratta appunto di un’illusione. La libertà non è fare quel che mi pare, perché così facendo io cado prigioniero del mio desiderio e di quello che gli altri impongono al mio desiderio mediante musiche, prodotti e via dicendo. Per questo c’è bisogno di riflettere su cosa sia davvero quest’esperienza, cominciando a capire che il primo momento decisivo della libertà si chiama liberazione, ovvero capire di non essere per nulla liberi: per carattere, per ambiente in cui nasciamo, per sollecitazioni della società, per il fatto stesso di dover morire… per tutta una serie di motivi, il primo passo verso la libertà è capire che la libertà non c’è. Non è a portata di mano, devi appunto scalare, faticare, arrampicarti… essere rampante, come il Barone del libro di Calvino: finché pensi che libertà sia andare in giro mezzo nudo e dire quello che ti pare, pratichi solo un’anarchia selvaggia e vuota». ...
L'intervista di Leda Cesari continua a questo link:
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