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Gli ultimi scontri a Tripoli ci ricordano che in Libia comandano le milizie e l’incontro tra la ministra degli Esteri e il suo omologo israeliano

Decine di morti e feriti a Tripoli per un regolamento di conti tra bande rivali. La Libia è ancora un hotspot di caos nel Mediterraneo allargato. Con il passare del tempo, i gruppi armati libici si sono sviluppati e sono diventati parte delle istituzioni di sicurezza statali, ricevendo finanziamenti anche dal governo. Da lì le milizie hanno messo le mani su altre realtà economiche e di potere nel Paese. La mancanza di un governo centrale forte ha permesso la proliferazione di questi gruppi armati

Il comandante della 444a brigata, Mahmoud Hamza, la cui detenzione ha scatenato scontri mortali a Tripoli, è stato rilasciato. Qualche decina di morti (da 27 a 55 dicono le fonti libiche) e un centinaio di feriti ci ricordano, se ce ne fosse bisogno, che la Libia è uno stato in mano alle milizie. Gruppi armati fino ai denti che rappresentano centri di potere di vario genere — dagli idrocarburi al traffico di esseri umani — e che si spartiscono il territorio e il diritto a controllarlo. Senza elezioni da un decennio, con governi imposti dalle istituzioni internazionali come (debole) soluzione per trovare una via di stabilizzazione, la Libia è ancora un bubbone tra Nordafrica e Sahel, che ha tuttora un posto nelle dinamiche del Mediterraneo allargato e di chi ha interesse a renderle caotiche.
Mentre la calma è apparentemente tornata a Tripoli, i fatti di questi giorni sono solo l’ultimo di una serie di scontri di questo genere, e rappresentano un quadro di instabilità sostanziale. Le milizie hanno assunto una posizione via via più dominante nel sistema/Paese libico, anche perché i vari fronti politici si sono legati a esse per ricevere protezione e garantirsi posizioni. Il governo che Abdelhamid Dabaiba guida attraverso un mandato, scaduto, ricevuto tramite le Nazioni Unite, è per esempio molto connesso alle milizie, e la permanenza dell’incarico è stata anche frutto di una sistemazione con i gruppi mediata dallo stesso primo ministro. In questa fase in cui si stanno creando i presupposti per un nuovo esecutivo — frutto di un accordo Est-Ovest che potrebbe anche portare alle elezioni — e con Dabaiba non intenzionato a lasciare, le tensioni aumentano. Lo sfogo militare in Libia è (per quanto assurdo) quasi una conseguenza naturale.         
Il panorama delle milizie libiche ha le sue radici nei gruppi informali di combattenti sorti in seguito al rovesciamento del lungo regime del dittatore Muammar Gheddafi nel corso della rivoluzione del 2011. 

La corrispondenza di Emanuele Rossi continua a questo link:


L’incontro tra la ministra degli Esteri e il suo omologo israeliano a questo link:


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