Chiediamoci: Perché quella paura?

Chiediamoci: Perché quella paura? Perché la nostra paura nel nostro cammino di fede ed ecclesiale anch’esso scosso da turbolenze e contrarietà? 


Il testo evangelico si apre presentando un Gesù che desidera solitudine, che ha bisogno di ritiro, di distanza dai suoi discepoli e dalle folle. Egli allontana i discepoli da sé, li costringe a salire sulla barca e a precederlo dall’altra parte del lago e poi licenzia le folle (Mt 14,22). E sta in disparte, da solo, senza distrazioni, senza presenze altre, solo lui con se stesso, lui con il suo Dio: Solus erat ibi (Mt 14,23). Solo spazio della sua preghiera è la solitudine, solo tempo della sua preghiera è il silenzio, solo giudice della sua verità è la sua coscienza, il luogo intimo e a tutti inaccessibile che fonda la sua stabilità e nutre la sua forza, il luogo del suo dialogo con il Padre che orienta anche il suo muoversi nel mondo tra gli uomini, il suo scegliere, il suo parlare, il suo tacere, il suo rimproverare, il suo consolare, il suo curare.

Ed ecco che sul finire della notte Gesù si fa presente ai suoi che stanno tribolando in una faticosa e contrastata traversata delle acque agitate dal vento contrario. E vedendolo camminare sulle acque essi sono sconvolti e si fanno prendere dalla paura. Lo stesso Pietro, che in un primo momento fa fiducia Gesù che gli chiede di andare verso di lui camminando sulle acque, quando vede il vento e non più il Signore, diviene preda della paura e inizia ad affondare. Chiediamoci: Perché quella paura? Perché la nostra paura nel nostro cammino di fede ed ecclesiale anch’esso scosso da turbolenze e contrarietà? Forse perché non si ritiene che le contrarietà (il vento contrario) e le sofferenze comunitarie (la barca tormentata dalle onde) debbano far parte del cammino di vita a cui il Signore ci ha chiamati. Forse per scoraggiamento o per ribellione verso colui che ci ha affascinato ma da cui poi ci siamo sentiti abbandonati, lasciati in balìa delle onde. Forse perché non pensavamo che la pur difficile sequela fosse addirittura impossibile come camminare sulle acque del mare. Forse perché pensavamo che in noi stessi c’erano le risorse per andare fino in fondo senza dover andare anche a fondo. Forse perché non avevamo preso sul serio le parole di Gesù “dove sono io voglio che sia anche il mio servo” e “chi vuol salvare la propria vita la perderà”. Forse perché, come i discepoli sulla barca avevamo preso l’abitudine a parlare di Gesù tralasciando di parlare a lui, di pregarlo, come i discepoli che di lui dicono “È un fantasma” mentre a lui diranno nella preghiera comune: “Tu sei veramente il Figlio di Dio”.

(dal commento di Luciano Manicardi)

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