Domenica XXI PA - Mt 16,13-20

Oggi la Liturgia ci propone Gesù che prova a verificare quanto abbiamo realmente compreso della sua missione e quindi della sua identità, perché ciò che facciamo dice chi siamo molto più delle narrazioni che facciamo di noi stessi. Poi svela a Simone di Giuda la sua realtà: è il primo mattone (non la roccia), della Comunità.

Nelle domeniche precedenti la Liturgia ci ha proposto Gesù che cerca di far comprendere ai suoi discepoli quale sia la sua missione dalla quale dipende anche la comprensione di chi sia lui.

In Galilea ha parlato apertamente scontando incomprensioni e contestazioni; ha allora iniziato a parlare in parabole prendendo spunto dalla natura e dalla vita quotidiana: non è andata molto meglio. Certo, i discepoli avevano affermato di aver capito però quando sono passati sull’altra riva, quella dei pagani, hanno fatto resistenza. Non avevano intuito la pedagogia di Gesù che a quel punto li accompagnava ad annunciare che il Regno dei Cieli anche tra i non ebrei invitandoli ad accoglierlo. L’insistenza della donna fenicia li aveva infastiditi, l’elogio della sua fede da parte di Gesù lasciati perplessi.

 

Oggi la Liturgia ci propone Gesù che prova a verificare quanto abbiamo realmente compreso della sua missione e quindi della sua identità, perché ciò che facciamo dice chi siamo molto più delle narrazioni che facciamo di noi stessi.

Si trova con i discepoli molto a nord in territorio pagano, vicino alle sorgenti del Giordano sul monte Hermon, in una zona molto fertile e rigogliosa nella quale uno dei figli di Erode, Filippo, aveva fondato la sua capitale nella parte da lui ereditata del regno alla morte del padre. I discepoli hanno ben presente chi sia il re in questa zona che, come tutti i potenti, è considerato una persona fortunata, ricca che vive negli agi.

Ecco allora che la prima domanda che Gesù pone loro su chi lui sia per la gente. È un invito a dire cosa vedono in lui, cosa rappresenti per loro e, questo, quasi in controluce a quel Filippo considerato invidiabile: chi non avrebbe voluto essere al suo posto? In fin dei conti anche noi a volte desidereremmo essere al posto di qualcuno che consideriamo essere più riuscito di noi per capacità, posizione, ricchezza, fascino o altro.

Rispondere a questa domanda significava anche riferire che cosa si attendessero da lui. Filippo poteva elargire ricchezza, posizioni privilegiate, vita sfarzosa; ma cosa si attendevano le persone da Gesù? Certamente nulla su questo piano e allora?

I discepoli, al plurale (quindi si può immaginare che intervengono in più di uno), riferiscono che riconoscono in lui una autorità non mondana e che il popolo vede delle somiglianze con il Battista, con Geremia, con Elia o comunque un profeta. Quindi vedono un ebreo con la schiena diritta che vive semplicemente, oppure uno che contesta il potere del tempio e una religione fatta di riti o, ancora, uno che rifiuta ogni compromesso e che è disposto ad andare avanti per la sua strada fino alla fine.

C’era già da rimanere soddisfatti a queste risposte che esprimono un mix nel quale è riconoscibile lo stile di vita di Gesù. Ma non si accontenta e desidera ora capire cosa i discepoli si aspettino da lui e questo dipende da chi pensino lui sia: avranno capito? In fin dei conti si era svelato bene quando aveva camminato sulle acque andando verso la barca agitata dalle loro mille tensioni e dubbi (i venti che la scuotevano). Giobbe lo dice chiaro: è solo Dio che cammina sulle onde del mare.

Quindi: “Ma voi, chi dite io sia?” Voi che mi state seguendo, davvero volete unire la vostra vita alla mia? ma avete davvero capito quale è la mia missione? Il Padre vi ha invitato ad ascoltarmi, cioè a condividere con me la vostra vita fino ad identificarvi con me, fino ad essere la mia voce, fino diventare le mie mani.

Qui risponde solo Simone figlio di Giona: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio il vivente”. Gesù a questo punto gli dice che è “beato” non perché ha fatto quell’affermazione (non sono certo le sue aspettative umane di una vita piena di soddisfazioni che lo ha portato a farla), bensì perché ha saputo cogliere il dono di conoscenza che il Padre gli ha fatto. 

Anche per noi non sono percorsi filosofici che ci portano alla fede, ma è un dono offerto a tutti che alcuni colgono, altri non se ne rendono conto, ma che viene riproposto continuamente senza stancarsi: non siamo forse quella perla preziosa nascosta che il Padre cerca ponendo una attenzione costante fin tanto che non viene scoperta?

Allora Gesù svela l’identità di Simone a lui stesso e lo chiama Pietro ma attenzione all’equivoco imperante nella storia della Chiesa: in greco “pètros” è un sasso, un mattone mentre, “pètra” è la roccia solida che nella Scrittura è un attributo esclusivamente di Dio. Pietro allora è solo il primo mattone sul quale Gesù costruisce la comunità che professa la sua fede nel Messia, Figlio di Dio, morto e risorto, ma la roccia sulla quale è costruita la casa rimane Lui, non altri.

Certo, affida a Pietro le chiavi e dei compiti ma non per questo ne diventa il “padrone” e, poco più avanti (tra due domeniche sarà proclamato nell’Evangelo), questi stessi compiti saranno affidati all’intera comunità.

Inoltre quel primo mattone subito dopo dimostrerà che non aveva affatto capito di quale Messia si trattasse e Gesù gli darà del “satana” (domenica prossima). Ma proprio per questo quel pescatore galileo diviene il primo fra i discepoli, perché ha sperimentato sulla sua pelle la misericordia e il perdono del Signore anche dopo averlo disconosciuto durante la Passione. Questo fa di lui un testimone vero della misericordia di Dio, che è tutto il messaggio della Chiesa. 


Ma per noi, chi è Gesù?

(BiGio)

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