Assunzione di Maria - Lc 1,39-56

L’assunzione non è una cosa “straordinaria”, un premio, ma la condizione di quanti hanno cercato di rimanere fedeli alla volontà di amore del Padre che porterà a compimento i nostri sforzi, perché questo è il suo progetto di vita alla quale ha chiamato e continuamente senza interruzione chiama l’umanità in ogni istante.

 


L’Immacolata Concezione e l’Assunzione di Maria sono due feste che desiderano sottolineare cos’era l’umanità prima del “peccato originale” e realtà alla quale è chiamata ad essere nella Parusia alla fine dei tempi, ma che non hanno alcun fondamento nella Scrittura.

Ma fin dagli inizi la fede cristiana ha avuto coscienza che Dio non ha creato l’uomo per la morte ma per la vita e per far capire bene questo, alla “pienezza del tempo” (Gal 4,4) ha inviato il suo Figlio. Questa festa desidera ricordarci che agli occhi del Padre siamo come quella perla preziosa scovata dal commerciante che vende tutto per poterla acquistare, siamo così importanti che ci desidera accanto a sé.

Se comprendiamo questo desiderio del Signore, siamo allora stimolati a corrispondergli con una vita nella pienezza della sequela di suo Figlio; con una vita capace di essere tale da essere degna di essere resa indistruttibile e, per questo, capace di durare per sempre.

Anche per Maria è stato così. La sua vita resa eterna, “assunta alla gloria del cielo”, non è stato un premio ricevuto per meriti speciali, ma la logica conclusione della sua esistenza sempre diretta verso scelte di servizio (in fretta si alzò ed andò da sua cugina Elisabetta incinta di tre mesi …), di ascolto della Parola, della capacità di accoglierla e farla propria anche quando era tutt’altro che facile. Le sue sono sempre state scelte verso la “vita” e si è sempre fidata fino in fondo di Dio, non come Pietro quando (nell’Evangelo di domenica scorsa) chiede a Gesù di poterlo raggiungere camminando sulle acque. La sua è stata una richiesta fatta in tono di sfida, Gesù l’ha accolta, ma Pietro non l’ha retta ed ha dovuto chiedere aiuto ed essere salvato.

Maria, una donna che come tutte le donne anche oggi scontano spesso l’essere emarginate, viene riscattata ed elevata a nostro modello. Della sua vita sappiamo ben poco, ma questo quasi nulla, ci deve essere sufficiente per capire che tutto il Padre nella potenza del suo amore può trasformare in “grandi cose”, al di là di ogni nostra immaginazione. Anche le nostre colpe, i nostri peccati, le nostre infedeltà come canta il preconio pasquale la Notte Santa delle Risurrezione, situazioni che diventano una “felice colpa!”.

Allora l’assunzione non è una cosa “straordinaria”, un premio, ma la condizione di quanti hanno cercato di rimanere fedeli alla volontà di amore del Padre che porterà a compimento i nostri sforzi, perché questo è il suo progetto di vita alla quale ha chiamato e continuamente senza interruzione chiama l’umanità in ogni istante.


Questa festa è un augurio per noi di poter cantare alla fine dei nostri giorni quel cantico che l’Evangelo di oggi ci propone: io ringrazio il Signore perché nella mia povertà ha saputo e voluto rendere grande il suo nome.

Un Signore che non guarda alle nostre qualità e capacità umane se non quella di accogliere i suoi doni gratuiti senza alcun nostro merito. È questo quell’essere suoi servi; è l’aver posto la nostra vita a sua disposizione per abbiamo capito quale sia il suo progetto su di noi.

Così, pur se saremmo stati degli sconfitti in questo mondo, in questa nostra realtà, ci scopriremo essere stati destinatari delle tenerezze del Signore che non è “onnipotente” e per questo fa ciò che vuole, ma è il Potente che, rispettoso delle leggi del creato e della nostra libertà, riesce a compiere prodigi d’amore sempre inattesi e sorprendenti.

Egli è il misericordioso attento e premuroso, che si commuove di fronte alle disgrazie, al dolore di chi è colpito in qualsiasi modo, da qualsiasi cosa e si fa vicino attraverso di noi come quel Samaritano sulla via di Gerico.

Il suo essere misericordioso non è un sentimento astratto, una semplice commiserazione, è contemporaneamente sempre una assunzione di responsabilità, un impulso irrefrenabile a soccorrere. 

Dunque questo canto di Maria non è l’invito ad attendere pazientemente che Dio intervenga per risolvere i nostri problemi: è l’annuncio di un mondo nuovo, di quel Regno dei Cieli di cui suo Figlio sarà l’araldo. È invito a rimboccarci le maniche per far in modo che, nella sequela di Gesù attraverso l’amore converta i cuori ribaltando i rapporti di forza: i potenti sono rovesciati e i miseri elevati. 

Ma attenzione, non è una “vendetta”, non è una sostituzione di una classe di sfruttatori con un’altra. Se fosse così Dio sarebbe entrato nella storia per recitare la parte di protagonista nel copione che a suo dispetto gli uomini hanno creato. 

Ma vi entra per farsi pane per chi ha fame, servo per amore, per donare un cuore nuovo di carne al posto di quello di pietra (Ez 36, 26-27). 

 

Sarà così? Maria ne è certa e, alla sua sequela, ci invita ad esserne certi anche noi.

(BiGio)

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