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XX Domenica PA - Mt 15,21-28

Ora è “il tempo opportuno per un altro passo, per l'accoglienza anche di chi il Deuteronomio votava allo sterminio, quei popoli disprezzati, popoli che non hanno nessun diritto, se non quello di essere sottomessi e dominati.


Abbiamo lasciato i discepoli che, dopo aver visto camminare sulle onde del mare in tempesta Gesù, la risposta positiva alla richiesta di Pietro di raggiungerlo, il suo timore di non riuscirlo a fare, il salvataggio da parte del Signore, si erano prostrati dichiarando “Tu sei veramente il figlio di Dio” e, nel loro concepire l’essere figlio di, significava non tanto l’essere stati generati da qualcuno, ma l’assomigliarvi nella sua essenza. Realtà che era stata confermata dal Padre stesso nella Trasfigurazione.

I venti forti che scuotevano la barca erano la ritrosia dei discepoli di andare sulla sponda opposta del lago, terra abitata dai pagani e la non comprensione del perché Gesù volesse andarvi quando era stato lui stesso ad invitarli a non fermarsi tra quelli, ma di annunciare l’Evangelo solo “alle pecore perdute di Israele”.

 

Oggi la Liturgia ce li fa ritrovare in quelle terre verso Tiro e Sidone abitate da persone che, con un’espressione molto dura, gli israeliti paragonavano ai cani perché non circoncisi, cioè pagani che adoravano degli idoli fatti da mani d’uomo di pietra o altri metalli.

Quando “ecco una donna cananea”, cioè fenicia, uno di quei popoli che, secondo il libro del Deuteronomio (20,16-17), devono essere votati allo sterminio, quindi popoli disprezzati, popoli che non hanno nessun diritto, se non quello di essere sottomessi e dominati.

Questa donna “si mise a gridare: Pietà di me, Signore, Figlio di Davide”, cioè la donna lo invoca come quel messia tradizionale atteso che, come il re Davide attraverso la violenza e la sua potenza, avrebbe conquistato di nuovo il regno di Israele, sottomettendo e dominando tutte le popolazioni pagane. Ma Gesù “non le rivolse neppure una parola”.

La donna però continuava ad invocare pietà, allora “i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Mandala via perché ci viene dietro gridando!»” infastidendoci. La Cei traduce “esaudiscila” ma il termine usato è un imperativo significa esattamente “cacciala, mandala via” ed è lo stesso verbo che Matteo ha adoperato nell'episodio della condivisione dei pani, quando i discepoli vogliono “mandare” via la folla senza avere, né mostrare alcuna solidarietà con questa.

Strano questo atteggiamento di Gesù normalmente pronto a rispondere ad ogni appello ma, questa volta, desidera far fare un preciso cammino alla donna e ai discepoli. Rivolgendosi a questi ultimi ripete l’invito che aveva fatto loro quando aveva delineato la loro missione: lui è stato mandato solo alle pecore perdute della casa di Israele.

La donna riprende ad invocarlo, questa volta lo chiama solo “Signore” tralasciando l’identificazione con il tipo di Messia davidico: è un passo avanti ed allora Gesù le risponde direttamente che “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani”. I discepoli assistono al dialogo: un maestro che parla direttamente con una donna e inoltre pagana, c’è da rimanere contaminati e, in ogni caso, concordano con la risposta datale.

La donna accetta la sfida, sa di essere considerata dagli ebrei una bestia, un cane ed insiste affidandosi totalmente a Gesù dicendo: “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, il suo percorso è completo, ora è il tempo che pure i discepoli capiscano.

Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita”.

Gesù risponde così ad un pregiudizio che è sempre molto attuale; facilmente non si sente dire “prima noi e poi gli altri”? tanto da farlo diventare uno slogan politico eretto a programma di governo. Di fronte ai problemi dei migranti, rifugiati o profughi per fame, malattie, persecuzione, guerre c'è l'imperativo: prima noi e poi se rimane qualcosa anche a loro. 

Da notare che è la fede della donna che fa allontanare dalla figlia il demonio che è la figura del pregiudizio religioso che discrimina le persone. È questo che Gesù spera i discepoli abbiano compreso: non lo ha fatto con dei ragionamenti, ha messo loro di fronte la grande fede di questa donna.

Dopo non essere stato compreso dai suoi, come abbiamo visto Gesù “cambia passo”, cambia linguaggio, passa a parlare in parabole. Ma ora ha compreso che è “il tempo opportuno” per annunciare che il Regno dei cieli è vicino, già tra di noi, anche a chi non è della casa d’Israele. Per questo è venuto sull’altra sponda del mare. Sapendo che i discorsi sarebbero stati inutili, coglie la prima concreta occasione utile per farlo comprendere ai discepoli che era giunto il momento di allargare lo sguardo, di guardare oltre ai muri etnici e religiosi.

La donna rivela nella sua risposta un’intelligenza e un’abilità dialettica straordinaria, sa poco della sapienza ebraica ma ha capito che c’è una benedizione che hanno i figli e spera che qualche briciola cada anche sui pagani. Allora lei non risponde come forse avremmo risposto noi, risentiti a causa dell’insulto; ha capito la pedagogia di Dio che, seppur passo a passo, non esclude nessuno. 

Anche noi abbiamo dovuto attendere il Concilio Vaticano II per capire che la salvezza non passa solo ed esclusivamente attraverso l’adesione alla Chiesa. Abbiamo dovuto attendere papa Francesco che sta tentando di spingerci fuori dei nostri tranquilli recinti ed aprirci alla scoperta dei semi di salvezza che il Padre continua a spargere con generosità ovunque, farli crescere e portarli a compimento. Ne siamo capaci?

(BiGio)

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