Certo, non mancano voci di sciacalli: quelli che imperversano nell’insinuare che tutto questo era ostentativo, sbordante, fuori luogo. Non ci si libera facilmente dai tanti povericristi che, nello spazio virtuale e non solo, appesi al chiodo della loro ignoranza e logorati dalla malafede, disseminano zizzania, sporcano i pensieri, minaccino la convivenza.
Ma chi come me era lá, nella gremita chiesa o nell’assolata piazza antestante, ha visto un’altra cosa, ha raccolto un altro messaggio, è stato attraversato da altri pensieri. Più puliti, più veri, più sani. Vivendo le ore intense di quel pomeriggio d’agosto, come amico da anni di Michela e a lungo in conversazione con lei su teologia, etica, forme di vita, ho capito e pensato ancora più a fondo la verità del legame tra i due aggettivi, da lei voluti per il suo funerale: politico e religioso. La cifra comune ai due sfondi è che non si vive da soli; per questo neppure si muore da soli. E che non ogni insieme crea comunità, ma solo quello che si esprime nella cura reciproca. Ci sono insiemi che – lo aveva scritto Michela tempo fa – producono gregge, ammassano le volontà, spengono le identità. E ci sono forme dello stare insieme che diventano vere perché prendono a cuore il sogno comune di una convivenza giusta, rispettosa di ciascuna e di ciascuno, nelle diversità che si mettono in sintonia. Proprio questo gioco di comunità è il terreno condiviso dall’esperienza religiosa e dall’esperienza politica. E fa di ambedue risorse che possono convivere, che non si escludono a vicenda. Al contrario, esse ...
La riflessione di Antonio Autiero (Professore emerito di teologia morale all'Università di Münster) continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202308/230815autiero.pdf
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