Che cosa significa parlare di «patria» in Israele? E la diaspora, che funzione ha? Perché l’immagine d’Israele come «luogo sicuro» per gli ebrei si è capovolta? Sono solo alcune tra le molte domande che il conflitto israelo-palestinese ci ripropone continuamente, da un anno a questa parte ancora più intensamente.
«L’alternativa proposta dall’autrice – scrive Stefani – s’incentra sulla domanda se il sionismo sia da considerarsi un movimento di auto-determinazione nazionale oppure se vada inteso come un evento coloniale. Tra tutte le ideologie abbracciate dagli ebrei in epoca moderna il sionismo è la più radicale in ragione del fatto di proporre un distacco molto netto dal passato (…) Il sionismo non è, però, una realtà paragonabile all’espansione coloniale otto-novecentesca europea», perché non è opera di «Stati già esistenti. Un gruppo di immigrati convinto d’essere portatore di una forma di civiltà superiore che s’incontra e soprattutto si scontra con una popolazione già insediata in un determinato territorio esprime, invece, una dinamica paragonabile a quella che ebbe luogo con la nascita e l’allargamento territoriale degli Stati Uniti». |
Anche per Lerner – sottolinea Stefani – vale l’assunto che «la realizzazione del progetto sionistico ha fatto sì che ogni ebreo al giorno d’oggi trovi nel confronto con Israele, in qualunque modo avvenga, un fattore che incide in modo diretto sulla propria identità». Per questo entrambi gli autori son convinti che ... |
Il testo di Piero Stefani si trova a questo link:
https://drive.google.com/file/d/1PMTEe3eiQRmi9Yi4hS3MbDVwGHYm_qdy/view?usp=sharing
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