Dinanzi alla lunga durata della seduzione della guerra, della «normalità» dei massacri, dell’accettazione rassegnata della deumanizzazione come modalità ordinaria dello sguardo, del paradigma amico-nemico tornato a reggere i rapporti tra i popoli, del riarmo forsennato come prospettiva economica e politica dei prossimi anni, della messa in conto delle tecnologie più raffinate al servizio della distruzione e del controllo sociale, dell’inganno sistematico dell’informazione, l’interrogativo che è giusto porsi è se tutto questo sia semplicemente il frutto di una (discutibile) razionalità geopolitica ancorata alla cultura del si vis pacem para bellum o se non vi siano altre energie che attraversano menti e cuori e li rendono disponibili alla regressione antropologica di questi tempi.
In particolare è bene chiedersi, ancorandosi alla linea interpretativa della corruptio optimi pessima, quali pervertimenti delle tradizioni religiose operino nel sottosuolo dei conflitti che sono in atto o che si stanno preparando. Ne cito solo alcuni perché sono talmente evidenti che è impossibile non coglierli. Innanzitutto ci ferisce ogni giorno la grande bestemmia contro la propria tradizione spirituale che il governo di Israele, autoproclamatosi «stato del popolo ebraico» con una specifica connotazione religiosa, sta pronunciando ogni giorno, citando le Scritture e presentandosi come il nuovo sterminatore di Amalek e di tutto ciò che gli appartiene «senza avere alcuna pietà … e uccidendo uomini, donne, fanciulli e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini» (così il primo ministro citando il testo biblico). L’utilizzo strumentale della Scrittura per giustificare il ...
La riflessione di Matteo Marabini continua a questo link:
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