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Un presepe che cerca la convivialità delle differenze delle fedi

Questo “presepe” cerca nella simbologia dei suoi elementi quella che don Tonino Bello chiamava la convivialità delle differenze. In questo caso delle fedi senza scadere nel sincretismo religioso, ma facendo tesoro delle ricchezze di ciascuna mettendole in dialogo le une con le altre.

Lo sfondo è un’immagine di distruzione in un mondo che vede 52 guerre attive delle quali quattro ad alta intensità.

Il presepe è collocato sotto un abete addobbato con stelle di paglia, angeli, luci e piccole mele: rappresenta l’albero della vita e per questo è un sempreverde. Il suo simbolo è presente in tutte le culture del mondo, dall’oriente all’occidente, dal nord (dal quale proviene quello della nostra cultura) al sud. Nella cultura ebraica è rappresentato dalla Menorah, il candelabro a sette braccia, perché la sua base in origine aveva quattro piedi che rappresentavano le radici, il fusto il tronco dell’albero, le sette braccia i rami e, dove viene posto l’olio e accesa la fiamma, è a forma di foglia di mandorlo che è l’ultimo albero a perdere le foglie e il primo a metterle; praticamente un “sempreverde”.

Giuseppe, Maria, Gesù in fasce, il bue e il mulo (non l’asinello perché, come il bue, non può riprodursi ed è questo che offre senso alla loro presenza) sono appoggiati su di una Torà ebraica aperta sul capito 11 del profeta Isaia: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse …” e continua con le immagini di una pacifica convivenza tra il lupo e l’agnello, la pantera e il capretto, il vitello e il leoncello, la vacca e l’orsa e continua sottolineando che “il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno…”. Ecco allora la presenza del leone accanto alla pecora.

Il bambino poggia la testa su di una piastrella che i musulmani sciiti usano per appoggiare la loro quando, prostrandosi, toccano con la fronte il pavimento (6^ e 8^ momento della loro preghiera rituale). Sopra c’è scritta una benedizione di Allah: “Sia gloria all’altissimo mio Signore”. È attorniato da una coroncina di preghiera composta da una frazione dei 99 grani di quella intera; viene usata da tutte le tradizioni islamiche sia sciite, sia sunnite per pronunciare i 99 nomi di Dio.

Il cammello richiama un altro versetto di Isaia (60,6) “Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”. Da qui la tradizione dei re magi.

Sull’angolo destro ci sono i cimbali tibetani composti di una lega di sette metalli che hanno un suono cristallino ad alta frequenza e sono uno strumento di preghiera del buddismo. Sono decorati con gli otto simboli di buon auspicio (buona fortuna): il Parasole, i Pesci d'Oro, il Vaso della Ricchezza, il Fiore di Loto, la Conchiglia, il Nodo Infinito, il Vessillo di Vittoria, la Ruota del Dharma.

Sullo sfondo altri due simboli buddisti: il fiore di loto e il Naga Bucalinda. Il primo è simbolo di benessere, purezza e rinascita spirituale; rappresenta anche speranza e fiducia nel futuro e nel cambiamento o l'inizio felice di un nuovo percorso.

Il secondo è un simbolo di protezione esteso a tutti gli uomini da quando venne in soccorso al Buddha Gautama che correva il pericolo di annegare per l’alluvione provocata da una pioggia torrenziale che discese ininterrottamente per sette giorni mentre stava avendo l’illuminazione seduto sotto un fico. Allora un cobra gli si arrotolò sotto alzandolo e lo protesse dalla pioggia allargando le sue costole che ha a fianco della sua testa, formando così un “cappuccio”. Quando la pioggia cessò il cobra assunse una forma umana. Il Buddismo poi discende dall’Induismo.

 

Ecco allora come il nostro Natale di un Dio che si fa piccolo per portare il Regno del Padre tra gli uomini, riscattandoli da un mondo di violenza e sopraffazione dove regna l’ego di ciascuno che lo causa, inaugurandone uno nuovo dove al centro c’è invece il bisogno dell’altro su cui chinarsi come il “buon samaritano” e farsene carico, può cercare assieme a tutte le fedi una realtà dove regni la condivisione, la rinuncia della violenza, il benessere, la speranza e la fiducia nel futuro, la protezione reciproca.

Questo ci libera dalle catene della violenza, ci rende attenti e pronti a cogliere i germi di un futuro nuovo dove la gioiasi fonda in una promessa che è una certezza e ci spinge a sperare al di là di ogni umana speranza.

(BiGio)

 

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