La "Santa Famiglia" ad una prima realistica lettura può apparire, più che un modello, una realtà scombinata o molto vicina a molte di quelle che compaiono sulle cronache dei nostri giorni (quindi molto “moderna”?). Oppure deve essere diverso lo sguardo con il quale leggere questa pagina di Vangelo.
Siamo abituati a identificare questa Domenica, la prima dopo Natale, come quella della S. Famiglia pensandola come una immagine ideale a cui tendere. Se però facciamo attenzione al testo vediamo un figlio che, invece di seguire i genitori che tornano a casa, rimane in città senza avvertirli (ricerca di affermazione di autonomia?); i genitori che si accorgono che il figlio non è con loro dopo un intero giorno (da toglierli la patria potestà per abbandono di minore?) lo cercano e lo ritrovano tre giorni dopo; il figlio che, quando i genitori gli manifestano l’angoscia che hanno vissuto, invece di scusarsi li rimprovera (si sono invertiti i ruoli?).
Questa famiglia può apparire, più che un modello, una realtà scombinata o molto vicina a molte di quelle che compaiono sulle cronache dei nostri giorni (quindi molto “moderna”?). Oppure deve essere diverso lo sguardo con il quale leggere questa pagina di Vangelo.
Per prima cosa dovrebbe saltare all’attenzione che dei personaggi, tranne Gesù, non viene mai detto il nome: né quello della madre, né quello del padre, tantomeno quello delle altre presenze come i maestri nel Tempio; questo significa che siamo chiamati noi ad identificarci in un ruolo o in quell’altro.
Altra indicazione che ci viene data è che non si troverà mai Gesù è tra “parenti e conoscenti”, cioè in una situazione “scontata” o “statica”: non è un “sedentario” ma è sempre in cammino in territori che per noi possono essere inaspettati. Non si riesce a trattenerlo, a fermarlo, possederlo anche se ci è accanto nel nostro pellegrinare perché “ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14).
Va con i genitori a Gerusalemme a 12 anni, l’età del Bar Mitzvah, della maturità, dell’ingresso a pieno titolo nella comunità che richiamano quella di Samuele quando iniziò a profetare e, come lui, “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (//1Sam 2,26).
I genitori sono convinti che Gesù li segua: il figlio deve seguire le orme dei padri (Mal 4,6) ma l’Evangelo di oggi ci porge la novità che è il passato, cioè i genitori, che devono comprendere il nuovo (Gesù) e seguirlo. Chi è fermo in una tradizione guardando il passato non può comprendere il nuovo che avanza. Luca più volte nella sua opera insiste su questo aspetto e, alla fine, Maria apparirà come una fedele discepola del figlio mentre ora, per chiamarlo quando lo trova al Tempio, Luca le fa usare un termine greco che significa “bambino mio”, cioè qualcuno su cui si ha un potere, un diritto assieme a colui che definisce come suo “padre”.
La risposta di Gesù, che siede “in mezzo ai maestri” come la Sapienza divina in mezzo al popolo (Sir 24,1), è decisa e sorprendente: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo (questo verbo indica la volontà di Dio) occuparmi delle cose del Padre mio?”. È un esplicito rimprovero: “avreste dovuto saperlo”. È una presa di distanza e l’affermazione che non seguirà le orme di Giuseppe (avrebbe significato rimanere legato al passato), ma Colui che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
Ritorna qui l’appello a rimanere svegli, vigili, pronti a cogliere la novità di Dio che irrompe sempre improvvisamente nella nostra vita. È l’invito che ha accompagnato l’intero cammino d’Avvento e che ha trovato compimento nel Natale.
Alla fine della loro ricerca i genitori “… lo trovarono nel Tempio” con i maestri che non erano semplicemente “pieni di stupore”: il termine greco usato indica una meraviglia irritata “per la sua intelligenza e le sue risposte”. Giuseppe e Maria non compresero quanto Gesù ha replicato al loro richiamo, però “sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. La risposta del figlio l’ha sorpresa e colta alla sprovvista ma non la rifiuta, non respinge la novità, ci pensa e ci riflette: è una modalità che ci viene chiesto di far nostra.
Lo ritrovano “dopo tre giorni” come dopo tre giorni le donne lo trovarono risorto, non più nel sepolcro, in quel sepolcro che possono essere anche tutte le situazioni di comoda sicurezza che ci offrono ospitalità tranquilla al riparo da ogni inquietudine. Il Risorto lo si incontra e trova solo nella strada che lui ha insegnato, quella del dono di se stessi nell’amore, non quando pensiamo di ritornare sui nostri passi (come, per esempio, i due discepoli di Emmaus) verso il confortevole rifugio della propria casa o paesello, senza altro problema che del pensare a noi stessi e non al bisogno dell’altro.
Ritrovano Gesù nel Tempio dove ascolta e interroga i maestri, gli esperti della Torà, cioè della Parola. Altri due atteggiamenti che dovrebbero essere di tutti i credenti: “ascoltare”, non semplicemente sentire o udire, ma avere la disponibilità a lasciare che la Parola entri in noi e, con tutta la sua forza, possa trasformarci, con-formarci a se stessa, alla volontà del Padre, ma anche porle domande. Non tanto “che cosa dobbiamo fare?” ma quale sia il volto di Dio che sto incontrando nel mio oggi.
(BiGio)
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