e-mail della Parrocchia: ss.risurrezione@patriarcatovenezia.it - Telefono e Fax: 041-929216 - ........................................................................... e-mail del Blog: parrocchiarisurrezionemarghera@gmail.com

IV Domenica di Avvento - Lc 1,39-45

Il cammino di questo Avvento è iniziato con la promessa che il mondo dove regna la violenza dell’uomo sull’uomo finirà e saremo liberi in un altro già presente quando al centro della nostra vita sarà il bisogno dell’altro sul quale avremo la capacità di piegarci. È però necessario non essere chiusi, ripiegati su noi stessi ma attenti a quanto accade per essere pronti ad accorgersi che in questo c’è il Signore che manifesta la sua volontà ed agisce. La sua promessa allora diviene per noi una speranza che non delude perché fondata sulla sua parola e, più che la gioia, esploderà una letizia che avvolgerà tutto il nostro essere.



Ricevere una promessa nella quale si è chiamati credere, diventa gioiosa speranza al di là di ogni possibilità umana quando si appoggia sulla credibilità di chi la fa. Due sono le conseguenze: una spinta a cercare di verificarne l’autenticità e la necessità della condivisione; d’altro canto la gioia porta proprio a questo ed è esperienza comune a tutti. Dall’essere troppo bello per crederci all’irrefrenabile bisogno di raccontarlo mentre si scopre che concretamente sta accadendo. 

Per esempio quando una donna, magari dopo molti tentativi andati a vuoto, scopre di essere incita e vede trasformarsi il suo corpo non può non annunciarlo a tutti ed è quello che ogni Comunità dovrebbe prendere coscienza. In fin dei conti nella celebrazione dell’Eucaristia è il Cristo che si incarna il lei, la riplasma trasformandola, rendendola nuova e dovrebbe avvertire l’urgenza di uscire dalle sue consuete mura, di alzarsi e andare “in fretta verso la regione montuosa”, cioè verso quella realtà faticosa che il Battista con Isaia ci ha indicato essere necessario spianare perché venga il Salvatore. 


Domenica scorsa siamo stati invitai a riscrivere la grammatica dei nostri rapporti umani condividendo invece che di tenere per noi stessi, ponendo attenzione all’altro senza soprusi di alcun genere per creare fraternità facendosi dono. È quanto accade a Maria quando da Nazaret si avvia verso dove abita la cugina non andando per la comoda e sicura via che fiancheggiava il Giordano, ma si avventura nell’insicura zona montagnosa irta di incognite. Lì, in quel villaggio alle porte di Gerusalemme, si tratterrà per tre mesi (cioè fino alla nascita di Giovanni), allo stesso modo nel quale l’Arca dell'Alleanza sostò tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat prima che Davide la facesse entrare in città (2Sam 6,11-12). 

Luca desidera così dirci che Maria è la nuova Arca dell’Alleanza: porta in sé non le Tavole con il Decalogo, ma colui che stabilirà la “nuova” Alleanza che non consiste nell’essere “diversa” bensì nell'essere per sempre.

Entrata in casa saluta Elisabetta che “fu colmata di Spirito Santo”. È questo un secondo movimento proposto dall’Evangelo alle nostre Comunità alle quali è chiesto di portare ogni dove il Signore che si "incarna" in loro, incontrando e "salutando", venendo incontro per prime facendosi prossimo, comunicando così lo Spirito che le inabita. L'impregno chiesto è quello di inzuppare le persone che incontrano della loro stessa vita divina, comunicando la possibilità di essere già oggi nel Regno di Dio, di essere nella piena fraternità e non nella violenza dell’ego, dell’uomo sull’uomo. 

Per il cristiano il “salutare”, il portare salute (= la salvezza) è il riconoscere nel volto dell’altro la presenza dell’Eterno coinvolgendolo nella propria vita. È questo l’antidoto alla violenza, all’uso dell’altro a proprio uso e consumo. È questo che porta pace, lo “Shalom”, la presenza di Dio capace di rallegraee; cosa ben diversa da un semplice “ciao” che, tra l’altro, è la crasi dell’antico saluto veneziano “sciavo vostro” (=schiavo vostro), mi faccio vostro servitore: di cosa avete bisogno?

Il saluto allora diventa importante: è il riconoscere l’azione di Dio nell’incontro, ciò che ha e sta operando nell’altro e che ci coinvolge, che ci chiede di lasciarsi compromettere nella vita dell’altro. Allora ogni incontro sarà un dono, una “pentecoste”, un nuovo natale.

(BiGio)

2 commenti: