Penso a Gesù disarmato e penso a Gesù che si cinge i fianchi con un telo di lino. Non riesco a vederlo assiso sullo scranno, con la mitria in capo e il pastorale in mano, circondato solo da maschi e, una prima osservazione interessante è che la parola “maschio” è legata alla parola “madre” (colei che dà la misura, l’ordinatrice) proprio da questa radice che custodisce una qualità essenziale dell’umano, ossia la capacità di darsi e dare ragione del mondo.
Se andiamo alla parola femminilità, rileviamo innanzitutto che questa parola deriva dal latino foemina, dove foe– è il radicale che rimanda ad un verbo che indica l’azione del succhiare e quindi dell’allattare, e mina è il suffisso participiale: “femmina” è colei che allatta, che nutre, che partorisce, che genera. Rispetto a “maschio”, che – si è detto – esplicita l’umano come capacità di dare e darsi ragione del mondo, “femmina” si fa carico di sottolineare il potenziale generativo legato all’atto singolo del mettere al mondo, del dare alla luce, ma anche al dispiegarsi del processo di generazione attraverso la nutrizione e la cura. E qui è interessante una seconda osservazione: posto che “femmina” è colei che genera e che allatta, anche “padre”, che viene dalla stessa radice del verbo “pascolare”, porta in sé l’idea del nutrimento e della cura: padre è colui che pasce, colui che nutre o procura il nutrimento....
L'intera conferenza di Anita Prati è a questo link:
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Conferenza tenuta il 29 ottobre 2024 al ciclo di studi «Il (non) posto della donna: la sfida della demascolinizzazione della Chiesa» dell’Instituto Humanitas Unisinos (Brasile). Sul canale YouTube dell’istituto universitario si può rivedere la registrazione video della conferenza.
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