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Natale: Lc 2,1-14

Nel Natale trova compimento il cammino di Avvento che quest’anno abbiamo percorso attraverso quattro termini: liberi da un mondo dove regna la violenza dell’uomo sull’uomo verso un futuro di gioiaÈ una speranza che non delude perché fondata sulla promessa annunciata dal Signore, che chiede di essere pronti ad accogliere, testimoniare e realizzare con gioia la salvezza di Dio nel nostro presente, elementi che ritroviamo tutti nell’Evangelo che viene proclamato nella notte di Natale. 


Infatti Luca innanzitutto colloca l’evento della nascita di Gesù in un preciso concreto contesto storico insistendovi nei primi quattro versetti della pericope odierna. Questi fanno da cornice al racconto di Maria che partorisce “il suo figlio primogenito”. Qui l’accento cade sull’aggettivo e non è una informazione biologica ma teologica perché guarda al fatto che quel bimbo sarà il primogenito tra i risorti dai morti. Questo viene confermato dall’annotazione che il bambino viene fasciato e deposto” in una mangiatoia; participio passato che Luca userà solo un’altra volta quando, dopo la sua morte, Gesù viene avvolto nel sudario e deposto nel sepolcro. Non per nulla nell’Icona russa della Natività il neonato non si trova in una mangiatoria, ma in un sepolcro e con una fasciatura da morto: è il vecchio mondo che muore in un Signore che nasce per fare nuove tutte le cose (Ap 21,5).

Luca sottolinea che i pastori, persone disprezzate ed escluse perché vivevano con degli animali, vegliavano nelle notte”: sono come le sentinelle descritte da Isaia (21,11-12) che scrutano la notte per vedere quando spunterà l’aurora e finirà quella paura annunciata dall’Evangelo della prima Domenica di Avvento causata da “segni nel sole, nella luna e nelle stelle e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” (Lc 21,25-36); sono come Simeone e Anna che, fondatisulla promessa annunciata dai profeti, aspettavano la consolazione di Israele e la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,25-38). Con questo Luca ci vuole dire che il suo Evangelo si rivolge a chi è in ricerca, in attesa, pronti ad accogliere l’irrompere della novità di Dio, non a chi pensa di conoscere ed avere già tutto per i quali invece può trasformarsi in una cattiva notizia e non in una grande gioia.

Oggi è nato per voi un salvatore che è Cristo Signore” annuncia l’Angelo. Questo “oggi” riguarda il nostro presente e quel “voi” non è una massa indistinta: è per me, per te, per noi che oggi ascoltiamo la proclamazione di questo Evangelo. Una buona notizia che è affidata alle nostre mani, alla nostra voce: un dono inaspettato che cambia, se accolto, la nostra situazione, ci fa balzare in piedi e, “appena” ascoltato l’annuncio, andare “senza indugio” per verificare, toccare con le proprie mani quanto avvenuto e sta avvenendo (Lc 2,15) per collaborare e darvi corpo. È il medesimo atteggiamento, la medesima urgenza che ha avuto Maria dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo: corre da Elisabetta attraversando le montagne, la strada più rapida ma anche al più pericolosa.

Oggi noi abbiamo ascoltato un annuncio, oggi – non domani o in futuro – la salvezza è entrata nella nostra realtà, un dono del tutto gratuito che ci è chiesto di accogliere mettendoci in movimento perché ci dà una direzione da seguire, un senso alla vita che e ci da gioia. Attenzione però, il segno che questo avviene è una piccola cosa, un germoglio di vita nuova, non una cavalcata gloriosa con tanto di squilli di tromba e non è semplice da scorgere nel nostro convulso quotidiano. Ma è il compito che ci è chiesto. Di fronte alla nostra realtà fatta di timori per le guerre (sono 52 quelle in atto nel mondo), di accentramento delle ricchezze in poche mani che guidano anche le scelte politiche, nell’impoverimento sempre maggiore della maggior parte dell’umanità, nelle migrazioni mosse dalla disperazione e dalla speranza, non ci è chiesto solo di denunciare. Certo, va fatto con decisione ed anche con forza ma non basta, non ci si può fermare qui, sarebbe come ripiegarsi su di noi stessi accettandoli mentre, invece, ci è chiesto di individuare i piccoli gesti, le piccole esperienze di convivenza, di solidarietà; ogni azione che tende a concrete esperienze di un mondo pacificato nel dialogo delle differenze, nella condivisione di quanto ciascuno ha. È questo che crea fraternità, fiducia nell’altro, accoglienza. Sono quei doni che nell’Evangelo di oggi gli Angeli e i cori celesti ci annunciano consegnandoceli perché gli diamo corpo, gli aiutiamo a svilupparsi, a diventare dall’impalpabile granello di senapa a un albero sotto il quale riposarsi dalla calura. Questo è il compito che ogni dono ci chiede, in particolare quello di oggi.

 

(BiGio)

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