Vediamo proiettata l’immagine dell’Annunciazione del Beato Angelico (Guido di Pietro detto Beato Angelico), ossia una tempera su tela, che venne dipinta per il Convento di San Domenico a Fiesole, dove era stato frate domenicano dei regolari osservanti. Era una delle tre grandi pale d'altare, che aveva dipinto per decorare la chiesa. Attualmente l’opera è conservata nel Museo del Prado a Madrid ed è databile alla metà degli anni trenta del Quattrocento.
Maria è raffigurata nell’atto della humiliatio, ossia con le braccia incrociate sul petto, così come l’angelo (arcangelo Gabriele), che con le sue stupende ali iridescenti, si inchina davanti a lei in un atteggiamento di preghiera e devozione. Nel Vangelo di Luca, l’angelo, “entrando da lei” (Lc 1,28), le porge il suo saluto, fatto alquanto sbalorditivo, in quanto, nella cultura del tempo, era sconveniente salutare una giovane fanciulla. Il dialogo tra i due richiama molti riferimenti biblici (Rt 3,9; 1 Sam 25,41; Sof. 3,14-17; Zc 9,9). La prima parola dell’angelo rivolta a Maria è “Gioisci”, “Rallegrati” (Lc 1,28), ed è l’unico saluto di Dio che inizia così, solitamente troviamo “non temere”, come le dirà poi l’angelo, a seguito della sua conturbatio (Lc 1,30). Il saluto tradizionale ebraico era “Shalom”, che con verbi o altri complementi, diviene “pace a voi”, “la pace sia con te”. Il testo originale, scritto in greco, rende il saluto “Rallegrati” con l’imperativo presente χαῖρε, khàire, che ritroveremo nella Santa Notte del Natale nelle parole dell’angelo ai pastori “ecco, io vi annuncio una grande gioia” (Lc 2,10), seguito da “una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio così: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,13-14). Il saluto di Dio quindi è sempre un saluto di pace e di gioia, un saluto di un Padre amorevole che si rivolge ai suoi figli con amore, dedizione, sempre pronto a prendersi cura dei più piccoli e dimenticati, ma soprattutto di coloro che si sono allontanati o che sono segnati dalle violenze, guerre, solitudine, incertezze e relazioni fragili. (Cfr. don Massimiliano Parrella casante - vedi nota -, San Giovanni Calabria: la festa della paternità di Dio che abbraccia tutti in L’amico. Periodico dell’Opera don Calabria n. 5 settembre-ottobre 2024). L’amorevole paternità di Dio la ritroviamo soprattutto nella raffigurazione della scena dipinta a sinistra del dipinto, ossia della “Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre”. I progenitori, Adamo ed Eva, sono raffigurati vestiti con semplici tuniche grigie, in un atteggiamento penitente, mentre cercano di farsi forza a vicenda, nel momento in cui lasciano il giardino, invitati dall’arcangelo. Il Paradiso terrestre è rappresentato come un giardino fiorito (hortus conclusus), che richiama la verginità di Maria, questo è pieno di fiori, frutti e piante, tutti simbolici, in particolare la palma, le rose rosse che richiamano la passione di Gesù e un albero di arance, simbolo del paradiso. Lo sguardo di Eva è rivolto verso Maria, ossia di colei che schiaccerà la testa del serpente, tentatore della stessa Eva. La cura di Dio Padre non abbandonerà Adamo ed Eva nemmeno in questo caso, perché si preoccuperà di fare “delle tuniche di pelli e li vestì” (Gn 3,21), e li accompagnerà, come dirà in seguito San Paolo nella Lettera agli Efesini, “con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ef 1,3). I progenitori, Adamo ed Eva, decidono da soli, in modo autosufficiente, senza ascoltare la Parola di Dio, di dialogare con il serpente e non con Dio, perché pensano che così troveranno la felicità, Maria invece ascolta l’angelo, si fa guidare dalla Parola di Dio, perché riconosce che questa è l’unica parola che le dà gioia, che la può rallegrare. L’angelo ci fa stare alla presenza di Dio, mentre il serpente ci lascia soli davanti a noi stessi, abbandonati al nostro destino.La vicenda di Adamo ed Eva, intrecciata a quella di Satana, è descritta magistralmente da John Milton, poeta inglese del Seicento, nel poema epico “Il Paradiso perduto” ossia “The Paradise lost” del 1667. Rispetto a quanto descritto nella Genesi, riguardo al frutto proibito offerto da Eva ad Adamo, John Milton sceglie un’altra versione ossia Adamo, “essendo perdutamente, consapevolmente innamorato di Eva, quando viene a sapere che Eva ha mangiato il frutto proibito sceglie di mangiarlo a sua volta, per poterla seguire e non perderla” (cfr. Alice Basso, Non ditelo allo scrittore, Garzanti, 2017). Ecco la conclusione del poema:“Guardandosi alle spalle, videro le intere mura orientali del Paradiso, che fino a quel momento era stata la loro lieta dimora, vibrare al fulgore della spada in fiamme, e il cancello precluso da creature spaventose e armi di fuoco. Inevitabilmente versarono qualche lacrima, ma l’asciugarono in fretta: innanzi a loro c’era tutto il mondo. Avrebbero potuto scegliere ovunque il loro posto, e la Provvidenza li avrebbe guidati. Pian piano, passo a passo, oltre l’Eden, soli, si presero per mano e iniziarono il cammino.” (cfr. John Milton, The Paradise lost, XII, vv. 643-652).Il messaggio di Milton è sorprendentemente attuale, in quanto mette in luce una profonda umanità, due persone, l’uomo e la donna, che si scelgono e che consapevolmente possono contare solo l’una sull’altra, si sorreggono a vicenda, si prendono per mano e vanno insieme incontro ad un mondo per loro sconosciuto. Inoltre Adamo sceglie volontariamente di stare accanto ad Eva, nel bene e nel male. Messaggio che, per i puritani del Seicento inglese, era a dir poco rivoluzionario, ma soprattutto anche per noi, perché mette in luce che è insita nell’essere umano un’idea sana di amore, fatta di scelte consapevoli, fiducia, impegno, prendersi cura l’uno dell’altro, in modo particolare prendersi per mano e andare insieme nella stessa direzione ed insieme affrontare le tempeste, che prevedibilmente arriveranno. Ma John Milton dirà soprattutto, ricordandosi di quanto Dio aveva fatto nella Genesi, che la “Provvidenza li avrebbe guidati “, ossia la Paternità dell’Amore Dio sarebbe sempre stata presente con loro e che le loro mani sarebbero state usate per sorreggersi, aiutarsi e non per imbracciare armi o usare violenza verso il fratello o la sorella.Giovanni Allevi, il pianista, compositore, scrittore e direttore d'orchestra italiano, dirà: “Noi siamo essere imperfetti e per questo straordinariamente belli”, don Massimiliano Parrella casante dell’Opera don Calabria, aggiungerà: “Dio ci ama non perché siamo perfetti, ma perché siamo suoi figli.”
(Lara Spina)
Nota: Il termine Casante era usato anticamente per indicare una persona di fiducia che amministrava i beni di un nobile signore. Analogamente, su precisa volontà di don Giovanni Calabria, il Casante è oggi colui che è chiamato a custodire la Famiglia calabriana per conto del “vero padrone”, ovvero il Padre che è in Cielo.
Il Casante viene eletto ogni sei anni in occasione del Capitolo generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza ed è garante della continuità con il Carisma e la spiritualità del fondatore. Attualmente il Casante è padre Massimliano Parrella, di nazionalità italiana, eletto nel 2022 durante il XII Capitolo.
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