Paul Tihon
in “baptises.fr” del 10 luglio 2021 (traduzione: www.finesettimana.org)
Dobbiamo ricordarlo? Il Nuovo Testamento usa il linguaggio sacerdotale, tratto dal registro del sacro, solo in due casi: per Gesù, nostro unico “Gran sacerdote” (archiereus), e questo solo nella Lettera agli Ebrei, testo tipicamente giudeo-cristiano; e per il Popolo di Dio preso nel suo insieme, che è “un sacerdozio santo” (1 Pietro 2,5).
Ma la tendenza a separare il sacro dal profano è così radicata nello psichismo umano che rischia di nascondere la novità evangelica, reintroducendo dei mediatori, degli intermediari, tra Dio e il suo Popolo, tra Dio e ciascuno e ciascuna di noi. Tentazione spontanea forse, perché, se il velo del Tempio è squarciato, se ciascuno e ciascuna ha ormai accesso a Dio senza passare da “stati- tampone”, ci si trova esposti direttamente alla meraviglia, alla estraneità, alla prossimità incomprensibile di colui che è “più intimo a me di me stesso”... Ma allo stesso tempo ci si rende conto di quale altra tentazione sorga allora: quella del potere attribuito a quei “funzionari di Dio” - per parlare come il traduttore di Drewermann. Potere sui comportamenti, potere sulle coscienze. Potere tanto più sottile in quanto non si riconosce come tale e si designa come servizio. Compensazione del “sacrificio” fatto dal “sacerdote” nel “consacrare” la sua esistenza ad occuparsi al nostro posto del “sacro”...
Sta in questo, a mio avviso, tra l'altro, una delle ragioni più profonde dell'esclusione delle donne dall'ordinazione “sacerdotale”. Mi sono trovato più volte a discutere gli argomenti dei suoi difensori. Alcuni di tali argomenti non reggono – come il sofisma che consiste nel dire: “Se Gesù l'avesse voluto, lo avrebbe fatto”. L'argomento più difficile da confutare riguarda la simbolica sacramentale. ed è vero che più di un testo del Secondo Testamento usa la simbologia uomo-donna per chiarire degli aspetti della realtà cristica. Ad esempio nella lettera agli Efesini (5,25-27). Ma non ne consegue che si possa trasporre questa simbologia a situazioni che riguardano una concezione del sacro che io, da teologo, considero precristiana. E' difficile, in contesto cristiano, giustificare una simbologia che gioca sulla differenza dei sessi, mentre “in Cristo non c'è più uomo e donna” (Galati 3,28).
Sono quindi a favore della vigilanza linguistica su questo punto. Invece di “sacerdozio”, parliamo di “presbiterato”. Invece di ordinazione sacerdotale, diciamo “ordinazione a prete” o “al presbiterato. E così via. Forse è una piccola cosa. Ma credo sia importante per il cambiamento di mentalità.
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