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XVI PA – Mc 6.30-34

C'era molta folla che andava e veniva: la comunità dei discepoli, luogo accogliente dove crescere in libertà e che viene preceduta per altra via alla meta.


 

I discepoli erano stati inviati a due a due tra i villaggi chiedendo di fermarsi nelle case degli uomini per annunciare il Regno di Dio presente, predicando la conversione, operando guarigioni di malati, cacciando demoni facendo cioè quello che faceva Gesù e, per questo compito svolto, vengono chiamati per la prima volta “apostoli” perché questo è il significato della parola greca (= inviato a rappresentare). È il compito affidato alla comunità cristiana che è inviata a far sì che gli uomini incontrino il Signore, ponendo il seme della testimonianza, senza sapere come questo si svilupperà, come avverrà, con e in quali modalità. Saranno sempre diverse per ciascuna persona e dovrà fare attenzione che l'interesse non si concentri su di lei invece che sul Signore.

Gli apostoli tornano, si riuniscono attorno a Gesù e gli riferiscono tutto quello che avevano fatto e insegnato”. Gesù è sempre il centro, il punto di partenza, di ritorno, di ritrovo dove trovare ristoro: Venite in disparte, in un luogo solitario, riposatevi un po’”. Appare aver più attenzione alle loro persone che a fare una verifica (seppur importante) di quanto hanno fatto durante la loro missione e li invita non solo a ritemprare le forze, ma anche ad avere tempi di gratuità. Anche questo a sua imitazione: non solo “fare e insegnare” ma anche stare in disparte in luoghi silenziosi: non ad oziare, a fare nulla, ma in colloquio con il Padre.

È un Signore umanissimo che si preoccupa per i suoi che “non avevano più neanche il tempo di mangiare” perché era molta la folla che andava e veniva”. Tutto questo andare e venire è un qualcosa di positivo, anche se potenzialmente soffocante nell’impegno di accoglienza che richiede. Significa che la folla capisce che in quei discepoli può incontrare qualcosa, qualcuno di significativo ed è uno spazio accogliente, nel quale si può andare e venire perché si è liberi e dona libertà. Una realtà dove si può trovare la propria realizzazione, una comunità fedele al suo Signore, che parla di Dio agli uomini, nella quale scoprono nella propria vita – anche non credente – i tratti ed il disegno di un progetto di vita anche per loro stessi.

La folla ha trovato (dovrebbe sempre trovare) nella comunità dei discepoli stretta attorno al suo Signore, un luogo dove crescere in umanità nella libertà, vedere e capire il senso della loro storia visitata da Dio; il senso di una parola credente affidata a un gruppo di uomini che sta imparando con fatica a fare il mestiere di Dio; uomini che serbano nel cuore qualcosa che consegnano a chi incontrano come una cosa preziosa, un seme che è un tesoro di vita.

Allora partirono sulla barca per un luogo solitario” e di nuovo solcano il mare luogo ambivalente, fonte di vita, ma anche del male, simbolo di lotta; accade più volte in questi capitoli di Marco, non può essere un caso: è la fatica del credere e del vivere che non viene risparmiato, segna i passaggi da un accento all’altro posto nell’Evangelo, da un punto focale ad un altro.

Molti però li videro partire e capirono e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero”. La Comunità, la Chiesa sta facendo un cammino per raggiungere una meta. Molti capirono e si mettono a correre per raggiungere la medesima destinazione: il Regno di Dio, facendo però un percorso diverso e ci giungono anche prima. Questo non può non stupire e rallegrare: i discepoli sono pochi e sono preceduti da una grande folla che ha percepito che c'è "qualcosa" per loro in quello che hanno sentito annunciare. Non c’è un’unica strada da percorrere: quella che sta facendo la Chiesa non è “esclusiva”, ma “inclusiva”. La comunità è il seme, la folla è l’albero sproporzionato sotto la cui ombra si trova frescura e riposo. La Chiesa è il sale che dà sapore, il lievito nella pasta. Israele è il Popolo di Dio a immagine di tutti i popoli, non l’unico; l’elezione non è per escludere tutti gli altri, ma a servizio di tutti i popoli fino a quando il Signore definitivamente abiterà con loro ed essi saranno i suoi popoli” (Ap 21,3); i suoi popoli”, al plurale. Israele ha sempre avuto, ha coscienza di questo e la Chiesa?

Gesù si commuove, ha compassione di questa folla che li ha preceduti perché erano come pecore senza pastore e si mise a insegnare molte cose”. Gesù è colpito dalla loro insistente ricerca che sollecita la sua responsabilità e va incontro ai loro bisogni, non per dovere, ma per compassione della fame e della sete che legge nei loro volti.

La Chiesa è questa comunità la cui testimonianza porta molta folla a venire ed andare, che provoca il desiderio di precederla pur attraverso un’altra strada; questo sollecita Dio a intervenire ancora una volta in questa storia per aprirla alla speranza del Regno.

Il compito che ci è affidato è quello di continuare a riunirci attorno al Signore, continuando ad interrogarci su di lui, non scandalizzati dalla sua umanità, ma scoprendo che proprio questa che ci è chiesto di “interpretare” nella fedeltà, perché anche gli uomini del nostro tempo possano incontrare Dio e si accorgano della sua compassione per loro; possano vedere, capire e giungere pur per un’altra strada allo stesso Regno che noi stiamo annunciando.


Provocazione. Gesù invita i discepoli a riposarsi in un luogo solitario ma, quando vi giungono, trovano molta folla: Gesù non è riuscito a mantenere la sua promessa? oppure questo invita a capire qualcosa d'altro? La risposta ce la darà la liturgia Domenica prossima ....


(BiGio)


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Avere compassione. Papa Francesco traduce così

“Ogni giorno siamo chiamati tutti a diventare una «carezza di Dio» per quelli che forse hanno dimenticato le prime carezze, che forse mai nella vita hanno sentito una carezza...” (“La carezza di Dio”, in L’Osservatore Romano, 1 novembre 2013).

“La cosa importante non è guardarli da lontano o aiutarli da lontano. No, no! È andare loro incontro. Questo è cristiano! Questo è ciò che insegna Gesù ... Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro...” (“La cultura dell’incontro...”, in L’Osservatore Romano, 8 agosto 2013).

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