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XIV Domenica PA - Mc. 6,1-6

Dio continua a sorprendersi di noi e noi?


Una domanda ha caratterizzato il percorso che la liturgia ci accompagna a fare dalla Quaresima fino a oggi: “Chi è costui?” e, di domenica in domenica, gli Evangeli ci presentano pezzetti di risposta da ricomporre come in un puzzle, portandoci a scoprirlo e a capire cosa significhi porre realmente la nostra fiducia nel Signore, avere fede in lui.

Oggi la domanda se la pongono i suoi compaesani che hanno ascoltato il suo insegnamento nella Sinagoga: “Da dove gli vengono queste cose? e che sapienza è quella che gli è stata data? e i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?”. Ma sono domande che hanno già al loro interno la risposta: “non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Jones, di Giuda e di Simone? e le sue sorelle non stanno qui da noi?”. Gli altri evangelisti aggiungono: “invece noi sappiamo che il Messia quando verrà nessuno saprà di dove viene”.

È un avviso che ci viene dato, ci dice di stare attenti che è facile cadere nella tentazione di dare per scontato di conoscere bene il volto del nostro Dio; non solo: in nome della nostra idea su di lui, di non saperne riconoscere o negarne la visita, la sua presenza tra di noi.

Era per loro motivo di scandalo” o occasione di derisione come accadde quando quando Gesù, giunto a casa di Giairo, gli dice che sua figlia “non è morta ma dorme: “Ma che dice costui? sappiamo bene che è morta. Noi conosciamo la realtà” affermano irridendolo i servi.

Questo è un secondo avvertimento che Marco oggi ci pone: state attenti che il Signore è capace di sorprenderci sempre; perciò non deridetelo, non scandalizzatevi se non corrisponde alle vostre attese, a quanto conoscete o presumete di essere certi, perché questo impedisce al Signore di operare tra di noi.

Infatti, subito dopo, l’Evangelo annota che per questo “non poté operare nessun prodigio ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Allora? Non sono questi “miracoli”? li poté o non li poté fare?

Marco desidera dirci che Dio non cessa di essere presente e di operare tra di noi solo perché noi non riusciamo a riconoscerlo, o gli chiediamo conto del suo amore per noi che non comprendiamo, perché non ci dà le risposte che desideriamo alle nostre domande interessate. 

Dio non smette di operare i suoi prodigi per le nostre domande del cavolo, ma questi lo sono per coloro che li riconoscono come tali, che sono disposti ad accoglierli e ad accoglierlo.

L’Evangelo annota che “Gesù si meravigliava della loro incredulità” quasi a volerci dire che se noi siamo incapaci di stupirci del nostro Dio, Lui non smette di stupirsi di noi. 

Marco ci presenta così il volto di un Dio umanissimo che ci insegna anche ad avere, non il timore di Dio come talvolta lo chiamiamo, ma ad avere stupore di Dio, per quello che lui continua a fare nella nostra storia.

Di fronte a questo Dio, Gesù di Nazareth presente in mezzo a noi, abbiamo la possibilità di essere increduli, di scandalizzarci di lui, oppure di imparare da lui a stupirci per ciò che la nostra storia ci riserva, perché oramai dopo che lui è morto ed è risorto questa storia è la storia di Dio, nella quale noi siamo chiamati a fare il suo mestiere. 

È significativo che tutto questo accada “nella sua patria”, dove cioè lui è di casa, potremmo dire nelle nostre Comunità, nelle nostre Parrocchie, nelle nostre famiglie. Ma, oramai, Dio è di casa in tutta la nostra storia e, in questa, non siamo chiamati a non ridere di lui, ma a stupirci e, con i gesti e con la vita, a parlare di lui a tutte le persone che incontriamo nel nostro andare per il mondo, per le nostre città.

Dopo il tempo pasquale abbiamo celebrato la solennità della Trinità in cui ci è stato detto che, dopo lo stupore di aver incontrato e riconosciuto Dio in Gesù, ci veniva chiesto imparare a stare in questo mondo amando come lui ama. Per questo domenica prossima Gesù invierà a due a due i suoi apostoli a continuare a fare quello che lui ha iniziato a fare, a continuare a dire “talità kum”, a guarire le persone, a lasciarsi toccare perché, chiunque è disposto a non saper già com’è il suo Dio, possa stupirsi per la sua misericordia, per la sua presenza in mezzo a noi, non rida lui ma continui interrogarsi per conoscerlo meglio e per, a sua volta, poterlo annunciare alle persone che incontra.

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