di Riccardo Cristiano in “Adista” Notizie, n 29 del 31 luglio 2021
Il 29 luglio del 2013 veniva sequestrato a Raqqa, in Siria, p. Paolo Dall’Oglio. Gesuita, espulso nell’anno precedente dalla Siria del regime di Bashar al-Assad, Dall’Oglio è stato sequestrato dai terroristi dell’Isis, presso i quali si era recato per tentare di ottenere il rilascio di alcuni ostaggi. La sua storia così è diventata una tragica ma perfetta sintesi della storia del popolo siriano: espulso dal regime, sequestrato dall’Isis. L’espulsione di massa, una vera e propria deportazione di milioni di persone all’estero o ai lembi estremi del Paese, è stata reale. Il sequestro da parte dell’ISIS è stato «politico»: da dieci anni sono spariti in rappresentazioni manichee: terrorismo/anti-terrorismo, antagonismo/ imperialismo, pan-arabismo/pan-islamismo. Così la storia del monaco italiano trasferitosi in Siria circa quarant’anni dopo aver scoperto l’antico monastero, Deir Mar Musa, che ha restaurato fondandovi una comunità monastica dedita al dialogo islamo-cristiano per avviare dal basso la ricostruzione di una vera fratellanza abramitica è stata inghiottita da un racconto che col passare del tempo non poteva che estinguersi: è vivo? È morto? E se è morto chi l’ha ucciso? Otto anni dopo queste domande rimangono intatte, gravi e quasi nulla si è fatto da parte di chi poteva per cercare una risposta.
Le vittime dell’Isis non hanno diritto neanche all’identificazione nelle fosse comuni rinvenute: troppo costoso. E così anche il mistero sul destino di Dall’Oglio, come di tantissimi altri, permane e ognuno si è accontentato della risposta che sente vera dentro di sé. Ma il dramma di quel 29 luglio 2013 non si risolve soltanto in queste domande: c’è un’altra domanda importante: «Perché solo lui è andato lì?». Dall’Oglio è stato espulso da Assad perché la sua è stata la sola voce levatasi in favore di tutti i siriani dalle Chiese locali. La voce di un monaco che prese sul serio l’accordo raggiunto dall’inviato dell’ONU, Kofi Annan, per il riconoscimento della libertà di espressione fece infuriare il regime. Ma a Dall’Oglio criticare il regime non bastava. Sapeva benissimo che era pronto l’assalto jihadista per dirottare il treno della rivoluzione.
Tra nichilismo religioso e Islam popolare
Raqqa nel luglio del 2013 non era caduta in mano all’Isis: la città era ancora in mano a quegli insorti che volevano una Siria diversa, una Siria per tutti. Ma l’Isis era lì, la sua penetrazione sembrava destinata a prevalere, tanto è vero che aveva già stabilito il suo quartier generale nell’enorme palazzo dell’ex governatorato, dove lui andò a chiedere di rilasciare quegli ostaggi. I rapporti tra Isis e insorti erano pessimi, la tensione nota: di lì a breve sarebbe sfociata nella battaglia campale, mai vista tra Isis e regime, tra Isis ed Esercito Libero Siriano. Chi poteva già allora fuggiva da Raqqa. Posso dire non di presumere ma di sapere che lo sapeva anche lui. Nei giorni precedenti la sua partenza per Raqqa lo chiamai nel Kurdistan iracheno, dove lavorava con la sua comunità per i tantissimi profughi su incarico del patriarca caldeo, Louis Sako. Mi fece capire che era evidente che l’Isis avrebbe fatto da detonatore del conflitto: «Esplode tutto». E Raqqa, che di lì a qualche mese sarebbe diventata la capitale dell’Isis, era una parola che da sola incuteva timore. Dunque c’è andato perché aveva deciso di essere accanto all’umanità di Raqqa. Erano uomini e donne abbandonati al loro destino, quello che avrebbe tradito una rivoluzione libertaria e segnato il nostro futuro. Dopo Raqqa sarebbero rimasti solo i dualismi manichei: terrorismo/anti-terrorismo, antagonismo/ imperialismo, pan-arabismo/pan-islamismo. L’idea di abbandono delle persone normali dall’islam, da parte della comunità internazionale, avrebbe creato un nichilismo islamico capace di travolgere l’islam popolare, che è sempre stato amico del mondo, mai suo nemico, come i regimi paranoici e gli araldi invasati dell’islam apocalittico, che si sarebbero nutriti proprio di quel nichilismo per usarne la sete di violenza ai propri fini.
Fratelli e cittadini
Già prima dell’inizio della rivoluzione siriana Dall’Oglio spiegava che il fondamentalista è colui che crede che al di fuori della propria verità ci sono solo false credenze e quindi una falsa umanità. Era il suo modo di presentare, a tutti i credenti e non credenti, una certezza che oggi troviamo affermata in un’enciclica, Fratelli tutti. O siamo fratelli, e quindi cittadini con pari diritti dello stesso Stato sovrano per via della nostra sovranità, o c’è qualcuno che è più uguale degli altri, perché possiede l’unica e assoluta verità. Non so se Francesco sapesse che proprio in Siria un primo ministro cristiano, Faris Khoury, aveva fatto sua la massima che ha citato al Cairo, quando ha incontrato le autorità egiziane: «La fede è per Dio, la Patria è per tutti». Anche Paolo disse che questa idea si poteva accettare, ma chiarendo di volere un Paese nel quale tutti ci si ama come ci ama Dio. Sapeva che un certo statalismo arabo divinizza il “Presidente”, il raìss, e questo rischio può essere scongiurato solo con la teologia del buon vicinato, il vero antidoto all’odio comunitario. Il dialogo tra persone, non tra raìss e patriarchi e muftì, è sempre stato il suo intento. Se non fosse andato a Raqqa, io ne sono sicuro, avrebbe sentito di aver tradito la sua visione per cui uno Stato supera la dimensione di apparato e diviene davvero un Paese se ci si ama come ci ama Dio. Ed è entrato nel quartier generale dell’Isis. Non è andato da turista, portava il peso di una visione, quella che lo ha sempre separato da ogni identitarismo.
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