Si può identificare un momento in cui è avvenuta la rottura tra le prime comunità cristiane e l’ebraismo e quali le cause? La domanda sembra muoversi all’interno dell’orizzonte in genere definito con l’espressione inglese «the parting of the ways» (il cui principale testo di riferimento è costituito dall’omonimo libro di J. D. G. Dunn, 1991). Questa prospettiva presuppone l’esistenza di una divisione avvenuta a partire da un comune, per quanto variegato, contesto giudaico.
Tutto ciò, sempre secondo Boyarin, non significa che, in precedenza, fosse precluso discernere gruppi dichiaratamente cristiani da altri apertamente giudaici; tuttavia, in termini di linguaggio culturale, non esisteva ancora un insieme preciso di tratti che distinguesse, in modo inequivocabile, il giudeo dal cristiano.
Nel complesso la tesi di Boyarin appare, almeno in parte, estremizzata, tuttavia essa risulta convincente nell’indicare la mancanza di precoci tagli netti tra i due ambiti. Una delle ragioni di questa assenza si radica nel riferimento da parte sia di ebrei sia di cristiani alle stesse Scritture. Peraltro si è in genere propensi a ritenere che la comparsa di un canone marcionita (formato solo da alcuni scritti neotestamentari) abbia favorito, per reazione, la definizione di quello, proposto dalla Grande Chiesa, in cui gli scritti neotestamentari sono affiancati a quelli contenuti nella Bibbia ebraica. La formazione del canone cristiano fu, a sua volta, un processo conclusoli, nelle sue grandi linee, solo III secolo. Prima di allora le «memorie apostoliche» non erano integrate alla Scritture d’Israele. Secondo un approccio caro alla storia delle religioni, la definizione di un insieme di libri sacri riconosciuti rappresenta una specie sigillo ai processi, più o meno lunghi, che hanno condotto al sorgere di una nuova religione.
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