Molti si dichiarano pacifisti, e con buone ragioni. Chi non pensa che la pace sia uno dei valori più importanti? Ridotta in questi termini la questione sembra quasi triviale. Il problema non è tanto la richiesta dei mitici negoziati, dato che i canali sono sempre aperti sottotraccia e in ogni caso la guerra termina con dei negoziati.
Il pacifismo come posizione sociale ha una lunga storia che qui è impossibile ricostruire. Nel secolo scorso, e anche negli ultimi decenni, ha prosperato, giustamente, su una miriade di guerre sbagliate, dubbie e pretestuose. Basti pensare all’emblematico Vietnam per la generazione dei baby boomer, così come al disastro in Afghanistan dei nostri giorni. Di fronte a casi del genere la pretesa incondizionata della fine delle ostilità assumeva una cogenza evidente. Ma può la stessa urgenza valere di fronte a situazioni almeno in parte giustificate? Può valere in un caso di guerra di autodifesa, cioè nel caso di paesi vittime di un’aggressione? Quasi nessuno, anche tra i pacifisti di tipo incondizionato, negherebbe che in generale uno Stato (o un individuo) abbia il diritto di difendersi. Ma, talvolta, pur riconoscendo il diritto in generale di difendersi, molti negano che uno stato specifico in un certo contesto abbia questo diritto (ad esempio l’Ucraina) o che questo diritto sia sufficientemente forte rispetto ad altre considerazioni. Più in generale, per valutare le ragioni del pacifismo assolutista e per verificare i dubbi specifici sul caso ucraino, dobbiamo considerare le ragioni espresse o implicite delle parti in causa. Ovvero, bisogna esaminare il caso della guerra in Ucraina seguendo gli argomenti teorici, e sì anche filosofici, di etica della guerra.
L'intera riflessione di di Federico Zuolo - professore associato in filosofia politica dell'Università di Genova a questo link:
https://www.valigiablu.it/ucraina-pace-russia/
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