Viviamo nella notte oscura e fitta, quando aumentano i motivi di stanchezza, delusione, rabbia, impotenza. Ma è proprio in questa masnada di intorpidite e scure passioni che ci raggiunge l’annuncio di speranza di Gesù come il primo bagliore di luce all’alba.
Nel tempo di Avvento siamo provocati ogni giorno a far nostro questo richiamo.
Viviamo, anche noi come loro, storditi, alla ricerca di abitudini senza spessore che ci diano l’illusione della rilassatezza e della felicità, in affanno per il duro lavoro e le improrogabili incombenze. Ci appesantiamo con un mangiare e un bere sempre più esigente, raffinato e ricercato. Ci accaparriamo come predatori insaziabili dei beni che la natura dispensa, a scapito dei poveri e noncuranti delle generazioni a venire. Ci accasiamo, ci sposiamo o ci impegniamo a vivere insieme, forse per amore, ma anche per rifugiarci in un luogo sicuro, un’oasi protetta, un porto sospirato lontano dai venti di tempesta. È naturale non accorgersi di nulla né tantomeno del Signore che viene “come un ladro di notte”. È naturale perché non lottiamo più.
Perciò Gesù ci chiede di vegliare, di tenerci pronti, di aumentare il range della consapevolezza, di stare desti, di non intorpidirci, di avere una coscienza attenta a ciò che accade dentro di noi e attorno a noi. Viviamo nella notte oscura e fitta, quando aumentano i motivi di stanchezza, delusione, rabbia, impotenza. Ma è proprio in questa masnada di intorpidite e scure passioni che ci raggiunge l’annuncio di speranza di Gesù come il primo bagliore di luce all’alba.
Nel tempo di Avvento siamo provocati ogni giorno a far nostro questo richiamo che dovrebbe essere sempre presente nelle nostre esistenze, dovrebbe costantemente permeare ogni nostra fibra, condizionare ogni nostra relazione. Siamo fragili e mortali ma cerchiamo per istinto di sopravvivenza e con tutte le nostre scarne energie di non vedere le fragilità che ci colgono e di procrastinare il più possibile l’incontro con la morte. Senza sapere che “passa la figura di questo mondo” (1Cor 7,31); ciò che resta sono le parole di sapienza, verità, bellezza, tenerezza, luce di Gesù.
Chiediamo al Signore la stabilità e la fedeltà del fico, che affronta gli inverni con pazienza, pronto a intenerirsi quando è toccato dalla primavera. Invochiamo dal Signore non particolari e sorprendenti carismi di preveggenza ma il dono umile della vigilanza e di poter ricominciare ogni giorno la sequela di conformità a lui solo, consapevoli dei nostri peccati ma ancor di più della sua misericordia senza limiti. Supplichiamo il Signore che ci conceda uno sguardo di fede e di speranza, che veda oltre la morte e i fallimenti e assapori già la liberazione da quel non so che di amaro in bocca che ci fa annegare nelle acque della banalità e della superficialità.
(fr Giandomenico di Bose)
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