Pensare la fede: Il concilio e… gli atei

Su questo tema così delicato e profondo, la posizione del Concilio deve essere rivista.

“L’ateismo va annoverato fra le cose più gravi del nostro tempo”. Così si esprime GS 19. E spiega che con la parola “ateismo” si devono intendere più cose, diverse tra loro. Intanto l’ateismo esplicito, cioè il rifiuto dichiarato e consapevole dell’esistenza di Dio; poi l’agnosticismo, cioè l’impossibilità di dire qualcosa di sensato sulla sua esistenza; poi ancora il relativismo della verità, cioè l’impossibilità di ammettere una realtà assoluta e/o di poterla attingere; inoltre la costruzione di idee su Dio non compatibili col vangelo; infine il fatto di non porsi nemmeno più il problema della sua esistenza.
Ora, come si può ben vedere, qui il concilio usa la parola ateismo per designare qualsiasi forma di approccio o pensiero religioso che non collimi con quello determinato nei secoli dalla tradizione della Chiesa. Come se l’ateo puro, l’agnostico, lo scettico, lo spiritualista “fai da te” e l’indifferente fossero la stessa cosa, avessero la stessa causa e andassero approcciati nella stessa e unica maniera. Maniera poi descritta al n. 21, che parte dal non poter “fare a meno di rimproverare, come ha fatto nel passato, con fermezza e con dolore, tali perniciose dottrine e azioni”, senza individuare atteggiamenti specifici diversificati per ognuna di queste “posizioni” religiose.
Da allora ad oggi sono state fatte molte ricerche statistiche e sociologiche su questo fenomeno (in particolare quelle del Pew Research Center, del Gallup inc., di Eurobarometro, ed in italia di Eurispes e Ispos) e tutte hanno evidenziato come, all’interno di questo grande calderone che il concilio chiama “ateismo”, ci siano stati notevoli cambiamenti.

L'intera riflessione di Gilberto Borghi a questo link:

https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/il-concilio-e-gli-atei/




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