Sotto la croce lo sguardo di Luca si allarga. Il popolo assiste, in silenzio. Probabilmente sta ripensando che per tutta la vita di Gesù è sempre stato dalla sua parte tranne quando, sobillati dai sacerdoti e dai capi, ha chiesto la sua crocifissione. Questi ultimi invece non smettono di prendersi beffe del Signore. Di fronte a un morente il popolo contempla, i capi sogghignano (letteralmente “strizzano il naso”), i soldati lo scherniscono (letteralmente “se ne prendono gioco”), in più uno dei due crocefissi con lui lo ingiuriava (letteralmente “dire parole blasfeme”). Questi sono i tre sono gli atteggiamenti riportati di chi stava sotto la croce con i quali siamo chiamati a confrontarci non solo nei confronti della croce di Cristo, ma anche nei confronti di tutte le croci e i sofferenti che incontriamo oggi; per esempio i malati, chi è perseguitato, violentato o violentata, privato della libertà, chi fugge da guerre o dalla miseria...
Sono tre atteggiamenti come tre sono state le tentazioni del diavolo a Gesù dopo il battesimo che, questa volta, rimane muto, non risponde, non intende salvarsi da sé stesso ma l’attende dal Padre, non evitando la morte ma attraverso quella morte. La liturgia ortodossa e l’icona della Discesa agli Inferi o Risurrezione lo esprime bene. La liturgia canta: “Cristo è risorto dai morti, calpestando la morte con la morte e ai dormienti nei sepolcri ha donato la vita”; nell’icona c’è Gesù che calpesta le porte divelte degli inferi, prende per mano Adamo ed Eva e li trascina fuori con tutta la loro discendenza per farli entrare con lui nel Regno di Dio.
Generalmente non ci si fa caso, ma il “buon ladrone” chiama Gesù con il suo nome e questo nell’Evangelo è assai raro: accade solo altre quattro volte. Facendolo gli riconosce contemporaneamente la sua qualità regale che si manifesterà pienamente in futuro, nei tempi messianici nei quali instaurerà il suo regno.
Gesù non solo accoglie la sua preghiera ma la corregge: non alla fine dei tempi ma “oggi” stesso “sarai con me nel paradiso” parola che ricorre solo tre volte nelle Scritture ebraiche. Particolarmente significativo per noi è quella che ricorre nel Cantico dei Cantici (4,13): “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di henna e nardo”.
Qui il paradiso non è un giardino chiuso: è una persona, è l’amata. Gesù allora desidera evocare non un luogo, ma ad uno “stato”, quello della gioia che si vive quando si partecipa al banchetto delle nozze dell’Agnello, quello della gioia dell’amata che si unisce al suo sposo: il Messia.
“Oggi sarai con me”: non ci si salva da soli. Gesù avrebbe potuto scendere dalla croce e salvarsi per continuare a vive qualche altro lustro; avrebbe potuto far scendere dalle loro croci anche uno o tutti e due i ladroni
Una realtà nella quale il “buon ladrone” non entrerà solo ma “con me” gli dice Gesù e non alla fine dei tempi ma “oggi” nella speranza che è una certezza data in quell’Amen (“In verità io ti dico”) con il quale è introdotta la promessa che è un dono gratuito; quell’ebreo non aveva fatto nulla per meritarselo, tutt’altro. Ma Dio non guarda chi è buono o cattivo: semplicemente dona il suo amore incondizionato a tutti: la salvezza. Non ci si salva da sé stessi, non ci si salva da soli. Gesù avrebbe potuto scendere dalla croce come quel film, “L’ultima tentazione di Cristo”, del 1989 di Martin Scorsese provocatoriamente prospetta. Ma sarebbe stata una salvezza effimera. Alla fine, dopo qualche lustro, sarebbe morto ma senza aver portato a termine il disegno d’amore del Padre per tutti gli uomini. Gesù, invece, muore sulla croce per portare l’annuncio di salvezza anche nell’unico luogo dove la Scrittura diceva che certamente non c’era: l’appeso a un albero (la croce) perché è una maledizione di Dio, una sua maledizione verso quell’uomo (Dt 21,23).
“Oggi”, questo termine, nell’Evangelo di Luca appare 6 volte in momenti molto significativi; alla nascita di Gesù gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi è nato per voi il Salvatore” (2,11); nella sinagoga di Nazaret, dopo aver letto il rotolo di Isaia, Gesù commenta: “Oggi si è compiuta per voi questa profezia” (4,21); dopo che Gesù ha guarito il paralitico calato davanti a lui dal tetto, la folla esclama: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose” (5,26); quando, alzando lo sguardo vede Zaccheo sull’albero, Gesù gli dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua … Oggi per questa casa è avvenuta la salvezza” (19,5; 9); la sesta volta lo dice al crocefisso al suo fianco; “Oggi sarai con me in paradiso”.
In questo caso di fronte a loro sta la morte che, a questo punto non appare più come un muro contro il quale ci si schianta, bensì come una soglia che introduce in una vita altra (e non in un’altra vita!) nella quale si è in piena comunione con quel Dio creduto qui sulla terra.
Ma lo sbattere contro la parete o il varcare la soglia è un qualcosa alla quale siamo chiamati ogni giorno e sta nell’aderire o meno al Signore della vita in tuBitte le scelte che quotidianamente compiamo. “Oggi” ci è data la possibilità di entrare in quel paradiso che è la persona di Gesù se le facciamo con lui, seguendo il suo esempio, diventando così per i poveri il lieto annuncio, la proclamazione della liberazione ai prigionieri e agli oppressi, la vista ai ciechi… (Lc4,18). È il perseverare in questo atteggiamento che, come si vedeva la scorsa domenica, ci fa abitare sempre più prendendone possesso a poco a poco nella vita della quale Dio, che ne è l’autore, ci dà. È questo quel vivere già da risorti nel nostro oggi, nel nostro quotidiano, attraversando le soglie delle avversità, assieme, non da soli, con lui assieme a tutti coloro che in lui trovano la ragione della propria vita seguendo il suo esempio. (BiGio)
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