Dopo 11 anni, in Siria si continua a morire e a combattere

Sessanta civili, tra cui dieci bambini e cinque donne, hanno perso la vita in conseguenza delle violenze che si sono consumate in Siria nel mese di ottobre 2022. Lo rende noto il Syrian Network for Human Rights nel suo rapporto mensile sulla situazione nel paese mediorientale. Una tragica conta che da quasi dodici anni continua a rinnovarsi. Il documento evidenzia che a causare le vittime sono stati soprattutto gli scontri armati tra la formazione terrorista di Hayat Tahrir al Sham e altri gruppi armati che operano nel nord ovest del paese. In quella stessa zona domenica 6 novembre i bombardamenti del governo siriano e della Russia, sua storica alleata, hanno causato sette vittime, tra cui due bambini, e il ferimento di oltre 75 civili.

Dal sogno di un cambiamento democratico all’incubo della repressione e della guerra

Prima del 2011, anno in cui sono iniziate le proteste pacifiche represse nel sangue dal governo di Bashar al Assad, con la successiva esplosione degli scontri armati, in Siria vigeva una calma apparente. A muovere i manifestanti era il desiderio di un cambiamento verso la democrazia, con richieste di maggiori aperture e inclusione e di un sostegno alle fasce più deboli della popolazione, tanto duramente colpite dalla crisi economica e dalla siccità che si era abbattuta sulla regione. Bashar al Assad, oftalmologo laureato nel Regno Unito, salito al potere nel 2000, ereditando de facto il potere dal padre golpista, il generale Hafez al Assad, aveva acceso nei siriani la speranza di un cambiamento. 
L’apertura a una reale rappresentanza politica plurale, tanto agognate dalla popolazione siriana, costituita al 70% da giovani al di sotto del 35 anni, non è mai arrivata. Basti ricordare la vicenda del Manifesto dei 99, quando nel 2005 un gruppo di intellettuali di tutte le etnie e confessioni presenti in Siria presentarono un documento programmatico per portare la Siria verso la democrazia. Dopo una prima parvenza di apertura nei loro confronti, furono arrestati, torturati, costretti all’esilio.
Le proteste iniziate nelle piazze nel 2011 avevano tre caratteristiche. Erano pacifiche, laiche e organizzate dal basso. La mancanza di una leadership era dovuta al fatto che fare opposizione in Siria è sempre stato vietato e che tutte le riunioni pubbliche dovevano essere preventivamente autorizzate dal Mukhbarat, i temibili servizi segreti.

L'intero reportage di Asmae Dachan a questo link:




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