Domenica 26 febbraio - Mt 4,1-11 – 1 Quaresima

In tutta la nostra vita sperimentiamo la seduzione che l'uso del potere sugli altri ci dà.

Dopo che per alcune settimane abbiamo ascoltato ed accolto il “manifesto” della vita di Gesù (le Beatitudini), le indicazioni conseguenti per poterle interpretare efficacemente nel nostro quotidiano, l’invito a pregare cioè ad ascoltare la Parola del Padre per riuscire ad essere sale e luce fino ad amare come lui ama senza attendersi nulla in cambio, riuscendo così a rompere la spirale della violenza e del male ed essere suoi figli nel suo Regno già da ora.

Oggi la Liturgia ci fa iniziare il cammino della Quaresima nella quale siamo chiamati a chiedere al Signore: “Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. La sua risposta sarà: “Farò la Pasqua da te”, nella realtà dove tu sei, dopo che avrò allargato le braccia sulla croce per accogliere ed abbracciare tutti.

 

Come ogni anno la prima domenica pone al centro della nostra riflessione quelle che impropriamente chiamiamo le tre “tentazioni” di Gesù in quel deserto nel quale lo Spirito lo ha condotto e nel quale rimase “quaranta giorni e quaranta notti” digiunando.

Non è un digiuno religioso per ottenere il perdono o la benevolenza da parte del Padre, perché questo durava dall’alba al tramonto ma, con il numero quaranta, desidera rammentarci il periodo che passò Israele nel deserto tra l’esodo dall’Egitto e l’ingresso nella terra promessa fra tentazioni, rimpianti, ricordi, prove. Quaranta è anche un numero che rappresenta una generazione, cioè il periodo di un’itera vita, mentre tre è il numero della perfezione. Quello che Matteo vuole allora dirci è che l’intera vita di Gesù è stata, come lo è la nostra, sotto il segno delle tentazioni o, meglio, delle seduzioni e, quel verbo, appare in tutte le controversie che ebbe con i farisei, i sadducei e i dottori della Legge. In tutte quelle occasioni Gesù risponde citando le Scritture come anche in questa che è la prima volta nella quale ci imbattiamo.

Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei il figlio di Dio»”; non è un “se” dubitativo, non è un dubbio, significa piuttosto “giacché sei figlio di Dio” usa le tue capacità a tuo vantaggio: “«Dì che queste pietre diventino pane»”. 

La risposta di Gesù è chiara: l’uomo ha bisogno delle cose per vivere, la tentazione è quella di vivere per le cose… il denaro, il pane, la professione, sono cose buone purché non diventino l’assoluto. Non si è dei perché si usa la scienza e la tecnica; il successo non è quanto produciamo o accumuliamo. Queste cose non sazieranno mai il nostro bisogno di “vita.

 

Allora il diavolo lo portò nella città santa” - cioè Gerusalemme - “lo pose sul punto più alto del tempio” perché un apocrifo dell’AT, il IV Libro di Esdra, afferma che il Messia si sarebbe manifestato improvvisamente apparendo nel punto più alto del tempio, nel pinnacolo e questo si attendeva quel movimento spirituale che faceva riferimento a questo libro. Allora il diavolo, che si mostra come aiutante di Gesù, dice “Fai quello che il popolo s’attende, fai quello che il popolo desidera, anzi dagli un tocco di più”: “giacché sei figlio di Dio” - “«gettati giù»”, cioè manifestati come la gente si aspetta, ma dai anche un tocco di forza straordinario che faccia comprendere che tu sei veramente il figlio di Dio. Qui il tentatore usa la Scrittura come faranno in seguito ripetutamente nella loro sicumera farisei, scribi ed anziani pensando di averla dalla loro parte; cita infatti il Salmo 91 (11-12): “Ai suoi angeli darà ordini ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra

Gesù smaschera l’insinuazione del diavolo che invita a un rapporto sbagliato con Dio, la tentazione del miracolismo, il ricorso a Dio affinché faccia ciò che noi siamo chiamati a fare con le immense capacità che Lui ci ha messo a disposizione… quando entra il miracolismo, la religione diventa superstizione, magia. Inoltre la fede, il rapporto di amore non ha bisogno di prove: è fiducia, abbandono totale.

 

“Di nuovo …” ma non siamo di fronte ad una azione ripetuta, meglio tradurre – come è possibile – con “Questa volta il diavolo lo portò sopra un monte altissimo” che all’epoca erano considerati la residenza degli dei e tutti coloro che detenevano un potere si costruivano la propria residenza su di una altura. 

Gli mostrò tutti i regni e la loro gloria” – vale a dire la loro ricchezza - “e gli disse: «Tutte queste cose ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai»”. Cioè il diavolo propone a Gesù la condizione divina adorando, usando il potere per dominare il mondo. È il suggerimento non di servire ma di dominare, non di essere solidali, ma di sopraffare. Ovunque si eserciti questo dominio sull’uomo, ovunque si lotti per prevalere sugli altri, ogni volta che qualcuno è costretto a inginocchiarsi, a inchinarsi davanti un suo simile… lì è all’opera la logica del maligno! Non per nulla fin dall’inizio il Signore ha messo in guardia il suo popolo dal pericolo dell’idolatria (Dt 6,13) e il potere lo è. Gesù si esprimerà non nel dominio ma nel servizio perché questa è l’identità dell’amore del Padre.


In tutta la sua vita di Gesù sarà continuamente sedotto dal prendere il potere, perché era questo che il popolo si aspettava e quando questo s’accorgerà che Gesù non è un Messia di potere, lo rifiuterà e lo ucciderà.

(BiGio)


https://www.youtube.com/watch?v=y6DCg0gDgXE



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