La morte di Joseph Ratzinger il 31 dicembre ha fatto scorrere i classici fiumi d’inchiostro: per lo più inquadrati giornalisticamente in sentenze del tipo «è scomparso il più grande teologo cattolico» oppure «con lui finisce il Novecento della teologia». A riprova del fatto che in Italia si sa ben poco di teologia. I motivi sono tanti e non è questo il luogo per prenderli in esame. Diciamo solo che la retorica intorno al Papa teologo ha avuto una particolare presa sulla nostra stampa perché da noi, diversamente dagli altri Paesi europei, le vicende della teologia contemporanea non sono ancora entrate a fare parte dell’orizzonte culturale né, tantomeno, dello spazio pubblico.
Non che Ratzinger non sia stato un teologo di grande rilievo, naturalmente. Fargli però occupare tutta la scena della teologia cattolica del Novecento è a dir poco riduttivo. Anche perché nel generale e comprensibile omaggio all’illustre defunto è rimasto sotto traccia il suo ruolo cruciale, per oltre un ventennio (dal 1981 al 2005), di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Un organo che, dal tempo in cui si chiamava Sant’Uffizio, si occupa di vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica. Ruolo tanto più decisivo in una stagione complessa per la Chiesa cattolica, sempre più in difficoltà nel vecchio continente, fino al punto che il teologo Christoph Theobald si è spinto a parlare di es-culturazione del cristianesimo dal paesaggio sociale europeo, e invece in grande crescita, almeno a giudicare dai numeri e dalle previsioni statistiche, nell’ex Terzo Mondo.
L'intervento di Marinella Perroni e Brunetto Salvarani a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202301/230129perronisalvarani.pdf
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