Le sue tesi sulla comprensione di Dio, mai cristallizzata ma legata all’evoluzione delle capacità cognitive umane, furono condannate ma appaiono oggi intuizioni dense di frutti
La morte l’ha colto ieri, a novantatré anni, a Cesena, sua città natale, nella Casa di riposo “Don Baronio”. Con l’addio di Carlo Molari – «uomo libero dalla fede viva e dall’intelligenza sempre in ricerca» (così ieri lo ha definito l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte) – se ne va una delle figure più affascinanti nel nostro panorama teologico. Testimone di un “fare teologia” non come “mestiere”, ma – parole sue – come «componente di identità personale», «ragione di tutta una vita». E testimone di un pensiero lontano da rassicuranti certezze, spinto piuttosto a concentrarsi sul presente, guardando a Gesù di Nazareth, nella convinzione che l’azione di Dio si esprime nella storia umana quando s’incarna in essa, diventando relazione.
Prete e studioso dall’interrogazione mai spenta sul mistero dell’esistenza (e grande conoscitore di Teilhard de Chardin) ...
Il ricordo di Marco Roncalli continua a questo link:
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