Stato di Diritto e umanità della pena

Lo hanno chiamato «diritto penale del nemico»: la previsione della possibilità della giustizia di dislocarsi in uno spazio altro rispetto ai confini che la definiscono, di negare se stessa e i propri principi, continuando a definirsi giustizia


Adesso abbiamo fretta, perché Alfredo Cospito sta morendo. Sono però almeno due decenni che da scienziati sociali e da studiosi del carcere – oltre che da persone che hanno vissuto sulla propria pelle o visto su quella altrui le ripercussioni di sistemi detentivi che si richiamano alla massima sicurezza – riflettiamo criticamente e scriviamo contro il particolare accanimento dello Stato nei confronti di chi attenta all’ordinamento giuridico-istituzionale: il sistematico ripresentarsi, in situazioni considerate di emergenza, di dispositivi eccezionali rispetto alla giustizia ordinaria, il loro altrettanto sistematico eccedere le dichiarate emergenze e il loro ripetuto estendersi a situazioni e soggetti diversi da quelli inizialmente contemplati. Si tratta di una storia che si ripete nel tempo: dalla legislazione di emergenza degli anni Settanta, a quella pensata per le stragi di mafia degli anni Ottanta, fino alle disposizioni che pretendono di far fronte al cosiddetto terrorismo islamico, ci troviamo di fronte a quello che penalisti e sociologi hanno chiamato “diritto penale del nemico”

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