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Il consumarsi inascoltato dell’ultima generazione

 Per gli adolescenti di oggi il futuro non è passato, semplicemente non esiste. Si sentono l’ultima generazione e non capiscono il disinteresse del mondo a proposito del proprio ultimo destino. 

Possibile che gli adulti non capiscano il dolore che sale dai comportamenti, dalle parole, dai silenzi, dalle porte chiuse dei ragazzi del nostro tempo?



«Il futuro è già passato» diceva Vittorio Gassman in «C’eravamo tanto amati». Mi ha fatto pensare a quella frase il nome del movimento di ragazzi che conduce con gesti che oltre ad essere sbrigativamente condannati si prestano ad essere compresi, come il lancio di liquidi lavabili contro opere d’arte protette per richiamare l’attenzione del mondo sulla tragedia ambientale in corso. Quel gruppo di ragazzi si chiama «Ultima generazione». Quel nome, più che i gesti comunque nonviolenti, meriterebbe di essere capito. La sensazione che i nostri ragazzi hanno è proprio questa. Per Gassman e la generazione della Resistenza il futuro «già passato» era il consumarsi, fino al tradimento, dei sogni di un mondo migliore, era il «volevamo cambiare il mondo e il mondo ha cambiato noi». 

Per gli adolescenti di oggi il futuro non è passato, semplicemente non esiste. Si sentono l’ultima generazione e non capiscono il disinteresse del mondo a proposito del proprio ultimo destino. 

Possibile che gli adulti non capiscano il dolore che sale dai comportamenti, dalle parole, dai silenzi, dalle porte chiuse dei ragazzi del nostro tempo?

Nei primi giorni del lockdown, richiamammo l’attenzione, allora giustamente concentrata a scongiurare il destino di morte degli anziani, sulle conseguenze che un lungo periodo di isolamento avrebbe avuto sui ragazzi. La privazione di ogni forma di socializzazione, il rinculare nella dimensione familiare e domestica proprio nel tempo biologico del vitale distacco da essa, la rinuncia obbligata al rapporto con gli altri, alle feste, ai baci, alle partite di calcio, ai cinema e alle feste di compleanno… la scuola ridotta a un’esperienza individuale, privata della dimensione di incontro, scambio, relazione. Come si poteva pensare che tutto questo non avesse conseguenze sulla vita di ragazzi ai quali sono stati sottratti quei momenti irripetibili della vita che, tutti lo sappiamo, sono racchiusi in quel fazzoletto di anni della vita di ciascuno?

Da mesi assistiamo all’esplodere delle conseguenze stoltamente non previste e non prevenute di questa inedita condizione nella storia dei giovani. Si ripetono quotidianamente fatti di cronaca che ogni giorno riempiono giornali e televisioni. Ormai al centro di molti dei casi di violenza, anche efferata, sono ragazzi di quindici anni o anche più piccoli. Violenze individuali o di gruppi, atti brutali come il cercare di gettare un proprio coetaneo sotto un treno o spaccare a colpi di pietra la testa a un ragazzo del Bangladesh per rapinarlo, nei pallini di pistole sparati contro una professoressa… 

Sono i dati ad inchiodare alla realtà: dal Covid in poi gli omicidi compiuti da minorenni sono aumentati del 35,3%, le percosse del 50, le rapine del 75,3, le rapine per strada del 91,2. E poi gli incidenti stradali che mietono vittime adolescenti e il consumo di alcol e droghe che gli esperti dicono essere in aumento specie tra i giovanissimi.

Serve altro? Sì, servirebbe un minimo ascolto della voce dei medici degli ospedali, degli psicologi, degli insegnanti, dei genitori che raccontano delle mutazioni di carattere e di comportamento di molti ragazzi, della tendenza a isolarsi e a vivere con grande fragilità tutto quello che li circonda. L’Hikikomori, la pratica della separazione dal rumore del mondo, è entrata nelle stanze di molti, troppi adolescenti. 

Non è solo il Covid la causa di questo mal di vivere. C’è il senso di una cupezza che tutto avvolge e rende precario. La situazione economica dei genitori e quindi propria, il tramonto dei sogni collettivi, politici o religiosi, che forniscono senso, la sensazione che il mondo dei dinosauri non si accorga della catastrofe naturale in atto e che guardi lo scioglimento dei ghiacciai o le temperature più alte della storia con la stessa attenzione che rivolge al gossip.

Davvero non si può far nulla? Non si può ripensare al ruolo e alla funzione della scuola, anche come luogo fisico di socializzazione, non si può supportare genitori e insegnati smarriti con il necessario aiuto psicologico, non si può moltiplicare ogni forma di incentivo alla vita culturale, sportiva, associativa?

In ogni caso, perché le migliori menti del nostro Paese, magari sollecitate da governo e parlamento, non cercano soluzioni?


(Walter Veltroni)


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