"Voi siete questo"

Lo sguardo di Gesù ci raggiunge e per noi pronuncia una parola (cf. Mt 5,1): oggi una parola di beatitudine, la parola che è la sua buona notizia.

“Beati voi…” (v. 11), dopo la serie di beatitudini espresse alla terza persona. Beati voi maltrattati, che subite violenza e ingiustizie, che venite denigrati, offesi. Gesù non non sta invitando a una spiritualità doloristica che non ha nulla a che vedere con la chiamata alla gioia che contraddistingue la buona notizia, e che svilisce la portata delle parole di Cristo riducendole a un banale richiamo a sopportare con rassegnazione le sventure della vita. Ciò che distingue i destinatari di questa beatitudine è la loro scelta di coltivare la relazione e la conoscenza con Gesù. Nessuna aspettativa, nessuna pretesa ma solo “a causa sua”: solo la scelta di Gesù come senso e direzione, nelle situazioni diverse che la vita ci pone di fronte, ci rende destinatari della beatitudine, oggi. A costoro Gesù annuncia che radicalmente altro è preparato per loro, per noi, una “grande ricompensa nei cieli” (v. 12). Una realtà radicalmente altra annunciata a tutti coloro che ripongono fiducia nella forza di quella parola donata in vista della salvezza delle nostre vite.

Gesù si rivolge a questo “voi” non solo con l’annuncio della beatitudine ma con la dichiarazione di una identità che caratterizza i suoi ascoltatori, coloro che hanno fatto la scelta di attendere la parola che esce dalla sua bocca: “Voi siete”. Non “siate…”, non “sarete” o “impegnativi a essere”, ma “Voi siete” (v. 13). All’indicativo. Per dire una realtà che già è, non un augurio, una speranza.

Voi siete questo: siete sale, siete luce. L’identità dell’ascoltatore della sua parola è caratterizzata dal fare la differenza. Perché questo è ciò che fa il saleesiste per scomparire, per dissolversi in ciò in cui viene mescolato. Il suo essere mescolato tuttavia fa la differenza, insaporisce, conserva, purifica. E la luce, essa è condizione di vita, il suo valore è percepito da tutti, ma si rivela proprio se scompare in ciò che illumina. Così ci permette di vedere, di ammirare la bellezza e di contemplare l’opera di Dio. La luce fa la differenza perché è ciò che solo può contrastare le tenebre.

Gesù rivela ai suoi ascoltatori la loro identità e li chiama alla responsabilità di non perdere la loro identità di figli e figlie di Dio: “Se il sale perde sapore con che cosa lo si renderà salato?” (v. 13). Gesù invita noi oggi a chiederci come siamo nella relazione, come ci poniamo nei confronti dell’altro? Essere figli significa essere sale che si perde per far risaltare il sapore dell’altro, per fare la differenza nella vita dell’altro, significa essere luce che cerca di rivelare a ogni essere umano la sua identità di figlio e figlia, il valore originalissimo della sua vita esistenza, luce che fa risaltare la bellezza e l’opera che Dio ha compiuto nell’altro che incontriamo.

“Io sono la luce” (Gv 8,12), Gesù lo può dire per sé, ed egli è questa luce per ciascuno di noi. Lo dice anche a noi, figli e figlie che scegliamo di lasciarci illuminare e penetrare da questa luce, e così possiamo partecipare alla sua opera: divenire fonte di luce, di vita e di salvezza per ogni essere umano. Siamo luce, lasciamo quindi che questa luce “risplenda davanti agli uomini” (v. 16), ascoltando e vivendo il vangelo di Gesù. Così come risplende ancora oggi, dopo secoli, la luce di Eusebio, di cui oggi facciamo memoria, vescovo e fondatore della chiesa piemontese, che ha dato testimonianza alla Luce vera e ha vissuto sempre e solo “a causa sua” (cf. v. 11).

(sr Elisa)

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