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V Domenica PA - Mt 5,13-16 "Voi siete sale, voi siete luce"

Le Beatitudini proclamate domenica scorsa contengono un pericolo e Gesù, immediatamente subito dopo, ci mette sull’avviso. Si potrebbe pensare di viverle personalmente, ripiegati su sé stessi, in una qualche forma di ascetismo o di rimanere sul monte per non farsi contaminare dal modo di pensare e di vivere del mondo. 

Ma non sono state proclamate per suggerire atteggiamenti simili. Quali allora?



Sono invece la proposta di una società alternativa, di un mondo nuovo che il discepolo è chiamato a costruire, a impegnarsi per realizzare questo disegno che Dio ha sull’umanità. Già l’ultima Beatitudine aveva fatto capire che il vivere questo impegno porterà a scontrarsi anche duramente con la realtà e ci sarà la tentazione di nascondersi per non essere derisi come è capitato a Paolo ad Atene quando ha annunciato la risurrezione. Però, facendo così, saremmo come il sale quando perde la sua funzione di dare sapore alla vita, all’annuncio concreto, l’essere seme, segno di una nuova realtà già presente nel mondo, quella del Regno dei Cieli.

Al tempo di Gesù il sale era un elemento molto prezioso tanto da essere una modalità di retribuzione dei soldati (salario viene proprio da sale); ma veniva utilizzato anche per conservare a lungo gli alimenti. Questa sua capacità era stata simbolicamente ritualizzata facendola e, quando si scriveva un contratto, vi si spargeva sopra un pizzico di sale a dire che avrebbe avuto valore per sempre. Per gli ebrei l’alleanza di sale vuole anche essere l’immagine dell’amore incondizionato e senza fine di Dio con l’uomo.

Ecco perché Gesù, ai suoi discepoli, dopo aver proclamato le Beatitudini, dice: Voi siete il sale della terra cioè vivendole concretamente darete sapore alla vita, offrirete a tutti un orizzonte di senso che ne impedisca la corruzione, principi insani non riusciranno a farla andare in decomposizione, in disfacimento. Il vostro viverle farà sempre ricordare che l’uomo e la ricerca costante della pienezza della sua vita, devono essere il punto di riferimento di ogni scelta e non il profitto, il dio denaro e l’accumulo di beni; non l’uso dell’altro, fino alla mercificazione dei corpi. Questi ultimi atteggiamenti sono l’opposto del progetto di Dio espresso nelle Beatitudini.

Se il sale perde il sapore. Questo è chimicamente impossibile ma, il verbo usato, è più correttamente traducibile con “impazzire”. Gesù lo utilizzerà ancora quando parlerà dell’uomo pazzo che va a costruire la casa sulla sabbia invece che sulla roccia. L’immagine del pazzo è quella di chi ascolta le parole del Signore, ma non le mette in pratica. Gesù ammonisce i suoi discepoli e noi: se tu, queste beatitudini, le ascolti, le accogli ma poi non le metti in pratica, sei come un pazzo irrecuperabile: a null'altro servi che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Se voi che avete accolto le Beatitudini poi non le praticate o peggio con il vostro comportamento, siete una contraddizione al loro messaggio, meritate il disprezzo delle persone, meritate di essere gettati via.

 

Gesù, a quella del sale, affianca un’altra immagine: “Voi siete la luce del mondo”. Per un israelita questa affermazione deve essere stata sconvolgente perché, nella Scrittura, la “luce” è sempre legata all’immagine di Dio. Per esempio il Salmo 104 “Dio è avvolto di luce come di un manto” o la 1^ lettera di Giovanni “Dio è luce e in lui non c’è tenebra” e nel Prologo del IV Evangelo viene detto “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”, che “splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”, non sono riuscite a sopraffarla. Inoltre Gesù stesso si presenta come luce: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).    

Voi siete la luce del mondo” e viene detto a un gruppo di discepoli che lui stesso chiama “gente di poca fede” (Mt 8,23), che “per strada discutevano chi tra loro fosse il più grande” (Mc 9,30-37). Eppure sono loro, siamo noi ad essere chiamati ad essere “la lue del mondo” con le nostre fragilità, debolezze, meschinità. Questo non ci deve portare allo scoraggiamento, perché è di noi che Gesù si fida, a noi ha affidato la sua luce. Magari è solo un piccolo lumicino ma è sempre la luce di Cristo e, se uno si impegna a incarnare nella propria vita il Vangelo, in lui brilla il volto di Cristo come dice Paolo nella lettera ai Gàlati (2,20): “non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me!” 

 

Se il sale si mescola con gli alimenti, la luce non si combina con l’oscurità e con la tenebra. La luce mostra ciò che è piano e ciò che è pericoloso, permette di distinguere quello che è commestibile da quello che non lo è, aiuta ad individuare la strada sicura e quella insidiosa, permette cioè di discernere fra ciò che è bene e ciò che è male. Il discepolo, noi, siamo chiamati a essere luce, la luce di Cristo con la nostra parola, con la nostra persona, con la nostra vita e non riflettere la vacuità di certe vite, che tutti magari ammirano nel talk show, nei palcoscenici del mondo. 

La luce del cristiano deve essere ben visibile, l’immagine impiegata da Gesù, quella di una città che è sopra il monte, non è per invitare i discepoli a mettersi in vista, lo ha raccomandato tante volte… non praticate le vostre opere per essere ammirati dagli uomini … non sappia la tua sinistra ciò che fa la destra … fa il bene e basta (Mt 23). È invece l’invito ad essere quell’immagine proposta da Isaia di Gerusalemme, città posta su di un monte, verso la quale tutti i popoli si incammineranno per ascoltare la parola del Signore.

 

Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio” continua poi Gesù (il moggio era una paletta, con la quale si misurava il grano). Bisogna stare attenti a non velare la luce del Vangelo, cioè a non nascondere quelle parti che forse danno un po’ fastidio perché sembrano difficili da praticare, come la condivisione dei beni, il perdono incondizionato, l’amore gratuito anche a chi ci fa del male e ci perseguita. È invece necessario che la vostra luce risplenda davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone, la luce viene dalle opere buone, dal donare vita agli altri, e rendono gloria e qui attenzione: l'evangelista dice al Padre, non a chi le compie. 

È la prima volta che, nel vangelo di Matteo, appare il termine “Padre” che da allora sarà il nome di Dio per la comunità cristiana. Il padre nella cultura dell'epoca è solo colui che fa nascere un figlio, ma è soprattutto colui che trasmette al figlio il suo stesso modo di vivere ed agire che ne prosegue l’opera nella sua vita. Quindi, attraverso il dono di sé stessi, di quello che si è e di quello che si ha, si rende manifesta la presenza di Dio (si è suo “sacramento”, segno efficace e concreto del suo agire), all'interno della comunità e della società.

(BiGio)

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