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Il naufragio in Grecia, il nostro costante dimenticare e nemmeno un bambino, fra i 104 superstiti

Non è stata colpa nostra. Ma è facile scaricare tutto sulla Grecia neanche due mesi dopo Cutro, ti mette addosso una sotterranea paura. Non per quelli che ormai sono morti. Ma per noi, Europa, che dai nostri aerei sappiamo quando partono e dove fanno rotta, quelle imbarcazioni stracariche: e tuttavia, ancora una volta, quegli uomini li abbiamo lasciati morire. Davvero è impossibile, nell’era della AI, Intelligenza artificiale, usare almeno la nostra per fare sì che la gente in fuga dalla guerra, dalla fame, arrivi viva? Davvero è impossibile per l’Unione europea concertare almeno soccorsi veri e immediati? O, in verità, di quei morti non ci importa niente?


Non è certo la prima tragedia, in un Mediterraneo come un cimitero. Ma ha un sapore quasi più aspro. Perché dal peschereccio avrebbero rifiutato l’intervento della Guardia Costiera greca? Perché dei soccorsi greci ormai i passeggeri di quelle navi disfatte hanno paura. Ci sono stati casi di maltrattamenti, di abbandoni in mare. Allora dicono: tutto bene, lasciateci andare.
Fino a che il motore tossisce, gracchia, tace definitivamente. Si sente il mare allora, come urla. Ma è tardi. Si salva chi, sul ponte, ha un salvagente. Nella stiva avvertono la barca allo sbando, gridano per uscire – tranne le madri che hanno capito, e pregano. Pregano, già: l’Ue quella notte non c’era, ma, domanda qualcuno, il vostro Gesù, dov’era? Era, potrei giurarlo sui miei figli, là sotto, in quella stiva colma di pianti e odore di pipì, e strilla acute di piccolissimi. Era l’unico rimasto, con quei bambini. E mentre la nave cadeva lenta nell’abisso, li ha abbracciati tutti. E anche ora che sono in paradiso il Cristo in cui io credo guarda quegli occhi chiusi, i visi infantili che non vivranno, e piange - Agnello ancora, con loro. Noi - addolorati, certo - domani penseremo ad altro. È questo dimenticare, che mi preoccupa. Dev’essere questo costante dimenticare che, nella mia casa in pace, preme stasera contro i vetri delle finestre. Non è il vento. Queste morti, noi le tolleriamo e taciamo. Non è il vento: è un balbettio della coscienza.
(Marina Corradi)






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