Venite a me

“Venite a me” La grazia e l’inabitazione dello Spirito sono all’origine di ogni sequela di Cristo e di ogni “ascesi” cristiana, la cui comprensione profonda e la cui gioia è riservata a chi è mite e umile, a chi sceglie di astenersi dall’arroganza e dalla violenza. 

Ti rendo lode, ti rendo grazie, ti confesso: alla fine di un capitolo percorso da tensioni, incomprensioni e rifiuti Gesù fa proprio il linguaggio dei Salmi. “Ti rendo grazie, perché mi hai risposto, perché sei stato la mia salvezza” dice, ad esempio, il Salmo 118,21. Questo termine ritorna spesso nei Salmi: molte volte è pronunciato nella prova ed è espressione della fede e della speranza riposte in Dio. Di fronte a una generazione che non vuole convertirsi, che non sa riconoscere i profeti, che non vuol vedere i miracoli e comprenderne il messaggio, Gesù fa una preghiera al Padre. Nel testo di Matteo si possono individuare tre parti, di cui solo le prime due hanno un parallelo in Lc 10,21-22. Da questo passo possiamo imparare alcune cose. 

Innanzitutto, il fatto che Gesù pregava. Non sono molte le preghiere di Gesù riportate nei vangeli. In Matteo troviamo le parole del Padre nostro insegnate ai discepoli (Mt 6,9-13), il nostro testo e la preghiera nell’ora dell’agonia, in cui Gesù si rivolge al Padre dicendo: Padre mio (Mt 26,39-44).

La preghiera di Gesù inizia con lo stupore, il riconoscimento dell’opera del Padre. Qui, viene messo in evidenza il fatto che c’è una rivelazione del Padre: Dio si rivela, Dio si fa conoscere. C’è una sproporzione tra la grandezza di Dio, Signore del cielo e della terra e la creatura. Eppure Dio ha deciso di farsi conoscere. Certo, dona la sua rivelazione ai piccoli e la nasconde a chi non ha un cuore umile, e ci sono dunque delle condizioni per poterla ricevere, ma Dio non resta inaccessibile.

“Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”: vi è una volontà/compiacimento di Dio di far entrare l’uomo nella conoscenza del suo agire.

Una seconda osservazione. Gesù dice: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio”. Nella preghiera al Padre in Gv 17 Gesù si esprime in modo simile: “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola”. Questo ricevere tutto, si attualizza nell’ora della croce. Gesù possiede la conoscenza del Padre, ha ricevuto e può trasmettere le sue parole, può dare il riposo e la vita, ma tutto questo è legato alla sua morte in croce, cui egli acconsente anche attraverso la preghiera del nostro testo.

Infine un’osservazione su coloro che sono oggetto del rendere grazie e destinatari dell’invito di Gesù. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. Gesù è il pastore del Salmo 23 che nutre le sue pecore “presso acque di riposo”, come dice la versione greca, ed è il Signore stesso, che in Ezechiele 34,15 dice “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare”. All’inizio della nostra pericope Gesù aveva ringraziato il Padre per la rivelazione offerta ai piccoli: coloro che non sono cresciuti nel male, che hanno custodito le loro vite lontano dalla menzogna e dall’arroganza. Qui invita a prendere su di sé le esigenze di un cammino che comporta rinunce e assunzione di pesi. “Se l’anima persevera nella pazienza ed è docile allo Spirito santo che l’attira verso la conversione” scrive abba Antonio nei suoi insegnamenti, in un testo in cui cita il nostro brano. “È lo Spirito santo che spinge l’uomo a convertirsi e che lo sostiene lungo tutta la sua conversione. È ancora opera dello Spirito riempire il cuore di una gioia celeste, dilatare l’anima, riconciliarla con la beata speranza della vita futura” scrive, a commento Matta el Meskin. 

“Venite a me” La grazia e l’inabitazione dello Spirito sono all’origine di ogni sequela di Cristo e di ogni “ascesi” cristiana, la cui comprensione profonda e la cui gioia è riservata a chi è mite e umile, a chi sceglie di astenersi dall’arroganza e dalla violenza. 

(sr. Raffaela di Bose

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