Pensavo fosse Gesù, invece era Aristotele

Evidentemente il marketing religioso fa riferimento a un pubblico medio che ha poca o nessuna consapevolezza dell’imponente lavoro che, da decenni ormai, le teologie femministe stanno portando avanti per dissotterrare i giacimenti di senso sepolti nelle filigrane delle Scritture rispetto alla presenza e al ruolo delle donne nella storia della Salvezza. E questa è la prima perplessità.


Se c’è stato un punto di non ritorno nell’ermeneutica biblica, per quanto sconosciuto ai più, o disconosciuto o misconosciuto, questo è senz’altro il saggio The Woman’s Bible (La Bibbia della donna) di Elizabeth Cady Stanton, pubblicato alla fine dell’Ottocento. È grazie all’impresa di Cady Stanton che oggi non si può più leggere la Bibbia come un libro “neutro”, cioè privo di tracce delle mani maschili che l’hanno scritto.
Cady Stanton mise a fuoco il carattere fondamentalmente androcentrico della Bibbia, in termini tanto di linguaggio quanto di cornice concettuale.
Portando ad evidenza le strutture patriarcali che relegavano le donne in posizione di secondo piano rispetto agli uomini e le presentavano attraverso narrazioni che le concepivano come marginali, invisibili e insignificanti – nei confronti non solo della religione, ma anche della cultura e della storia umane –, Cady Stanton giunse ad affermare che i testi misogini contenuti nella Scrittura dovevano essere considerati non parola di Dio, ma parola dei maschi.
Il pionieristico lavoro di destrutturazione compiuto dalla pensatrice americana, imprescindibile figura di riferimento nella storia dell’emancipazione delle donne e degli schiavi, ha contribuito a mettere in luce le piegature androcentriche della storia della redazione e della tradizione dei testi biblici, il pronunciato androcentrismo attivo nella formazione del canone e in tante traduzioni, nonché l’organizzazione patriarcale delle istituzioni religiose e del nostro stesso modo di pensare, di vivere e di credere.

L'intero contributo di Anita Prati a questo link:

 

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