La parabola della zizzania è sconcertante. Ci aspetteremmo che in linea con altri contenuti Gesù ci raccomandasse di fare una lotta senza quartiere contro il male che ci abita. Invece no. Non si tratta di sdoganare la zizzania ma di non illudersi che la si possa eliminare, si possa guarirne. Fu l’errore dei Catari, i puri, molto attivi e diffusi nel medioevo, le cui idee in una certa misura furono riprese dal Calvinismo, caratterizzato da rigorismo morale.
La contraddizione ci abita, che bello: nessuno è più di un altro! La zizzania rappresenta la nostra condizione di esseri imperfetti che sentono il richiamo (l’ambizione?) alla perfezione. Ma che sarebbe se potessimo, alcuni più altri meno, raggiungere la perfezione? Non sarebbe sommamente ingiusto? O forse la perfezione sta piuttosto nell’amare la nostra imperfezione? Amare il terreno su cui cresce il grano e ‘per quanto non coltivata’ la zizzania? Amare la vittima, curarla e non odiare nessuno. Così più o meno.
“Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire” (Mc 14,38). È tutto quello che si può fare. Ma essere consapevoli che non si è liberi dalla contraddizione è salutare: chi può ritenersi più a posto di un altro? Il fariseo rispetto al peccatore in fondo al tempio? E chi può ritenere che la contraddizione sia solo negli altri? In quel frangente si sparano giudizi come proiettili.
“Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione” (Mt 5,25).
Quindi non si è discepoli perché santi, né santi perché cristiani. Farsi cristiano è un cammino non privo di contraddizioni, appunto, ma per superarle.
La parabola della zizzania è una lezione sul tema del male e della violenza fra le nazioni come fra singoli. Ad osservarle appare curioso che le ragioni dei contendenti siano le stesse e opposte, a specchio. Cioè tutti hanno ragione, il che vuol dire che non c’è una ragione che tenga.
Il gioco della zizzania è dilagare e riempire in nostro ego così che ‘siamo’ zizzania e può allora accusarci ed impiccarci ai nostri sensi di colpa: guarda di che sei capace, che prova dai di te, alla fine questo sei… Oppure accrescere il livore verso chi ti ha coinvolto. Ha buon gioco l’avversario, colui che dice di noi quel che non siamo, non sapevamo di essere, non vogliamo essere.
La zizzania non c’entra nulla col nostro desiderio. Ma, non invitata, arriva e consegna il suo dono avvelenato, come in certe fiabe. “Un nemico ha fatto questo”, ha seminato l’erba cattiva appena dopo la buona seminagione. L’ha fatto di notte ed è sparito nel nulla, facendo perdere le sue tracce. “Da dove viene questo seme?”. Non ci riconosciamo in esso, ci è estraneo, eppure…
Capita a tutti e tanto più ferisce quando più trova una casa ripulita e spazzata. Non ci si scandalizzi.
Non è così: viene la mietitura e il grano sarà liberato dal frutto della zizzania. Noi vediamo solo il presente come dato di realtà, ma la percezione è incompleta: la Scrittura si proietta nel domani, perché è ‘il dopo’ che fa vedere meglio ‘il prima’, è stando fuori che si vede meglio cosa c’è dentro e tanto vale anche nelle esperienze umane. Ecco “è stato precipitato l’accusatore, colui che accusava i nostri fratelli davanti al nostro Dio giorno e notte” (Ap 12, 10). È stato vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e il patrimonio di santità della Chiesa. Avremo sempre con noi la contraddizione, l’ombra che portiamo dentro e pure ci obbliga ad un lavoro di discernimento e di consapevolezza, e di tanto in tanto ci agita cercando di renderci infelici. Che fare? Accogliere la contraddizione e se essa al suo presentarsi è una persona, abbracciarla,oppure darle la pace e tirare diritto. Per il resto e sempre c’è la preghiera al Padre, “non abbandonarci alla tentazione”.
(Valerio Febei e Rita)
Nessun commento:
Posta un commento