Domenica XVII PA - Mt 13,44-52

La scoperta per caso di un tesoro di un uomo, la ricerca delle perle preziose di Dio e il suo amore che brucia tutto il marcio che la rete tirerà su alla fine dei tempi (non del mondo): tre parabole che fanno esplodere la gioia



Oggi la Liturgia ci propone in continuità con le domeniche precedenti le ultime tre parabole delle sette che Matteo ha raccolto nel suo tredicesimo capitolo dopo che Gesù, essendosi accorto che il suo annuncio non era stato capito, cambia linguaggio e, da quello diretto, passa a quello mediato dagli esempi presi dalla vita concreta.

Così dopo aver posto l’attenzione sulla realtà personale dei discepoli, di noi, composta di tanti terreni diversi più o meno capaci di accogliere la sua Parola, di farla propria e di portarla a frutto, (la parabola del seminatore “disattento”), la scorsa settimana ha avvisato di tre pericoli nei quali ciascuno di noi e le nostre Comunità possono incorrere: il pensarsi dei “perfetti” escludendo chi non consideriamo tali; oppure dei maestosi cedri del libano mentre invece siamo chiamati ad essere una semente impalpabile che però si diffonde ovunque; o, infine, a fare attenzione che, tra la grande quantità della farina (40 chili!) e la piccola parte del lievito che serve a farla crescere, siamo la seconda. Vale a dire che, di fronte alla grande quantità di lavoro che si intravede davanti, non ci si deve scoraggiare perché siamo garantiti nella riuscita dal Signore: è lui che “impasta”.

 

Le tre parabole di oggi ci propongono le immagini di un tesoro scoperto per caso nel campo, di una perla preziosa cercata e scovata dal mercante. Per finire contemporaneamente la ripresa della figura dei discepoli come “pescatori di uomini” e il campo dove crescono assieme il grano e le gramigne; ecco quindi, una la rete gettata nel mare che, alla fine dei tempi, sarà tirata a riva e conterrà di tutto.

 

Quel tesoro nascosto nel campo della vita di ciascuno, da sempre sta lì e per tutti c’è la possibilità prima o poi di farci caso, accorgersene e prenderlo; non è “meritato” da nessuno ed è totalmente gratuito. La gioia della scoperta è grande quanto più si capisce quanto possa essere importante per la vita averlo trovato per caso ed è questa consapevolezza che, nella gioia, muove a fare ogni sforzo per acquisirlo, anche a costo di “vendere”, lasciare o meglio capovolgere la scala di valori che aveva guidato fino a quella scoperta la vita. Probabilmente trascorreva tranquilla nel tran-tran quotidiano senza sussulti, guidata dalla necessità di sbarcare il lunario. Quell’uomo ora capisce che c’è altro e a questo dedica tutto sé stesso, tutta la sua vita. Capisce che non si tratta di lasciare qualcosa, ma di aver trovato il tutto.  Quel “tesoro” dà un senso nuovo al suo esistere, lo rende una persona nuova, un “beato” secondo il lieto annuncio fatto da Gesù; è la scoperta della signoria di Dio sulla e nella sua vita. È questo che ci è offerto di scoprire; non ci è chiesto di rinunciare a nulla: è la gioia che muove e non crea rimpianti nella ricerca di potervi partecipare, anche a costo di cambiare totalmente vita.

 

Nel libro dei Proverbi e in Giobbe si parla di “perle preziose” paragonandole alla sapienza. A differenza di chi ha trovato per caso il tesoro nel campo, nella seconda parabola siamo di fronte a un cercatore di perle preziose, un intenditore, uno che continua a inseguire la bellezza e non è mai soddisfatto. Mentre nella prima parabola, quel tesoro nascosto potrebbe essere per lo più nella vita di un uomo che non conosce già la fede e la scopre, qui potrebbero riconoscersi tutti i discepoli noi compresi. Al centro non c’è la perla più preziosa di tutte da trovare, ma la ricerca del mercante fino a scoprire che quel “mercante” è il Padre (in tutta la Scrittura è Dio che va in cerca dell’uomo e non viceversa!) che è disposto a tutto pur di trovare quella perla preziosa che siamo noi, per renderci partecipi della sua gioia e del suo amore.

A queste due parabole gemelle, ne segue un’altra per la quale Matteo propone una spiegazione che richiama quella sulla mietitura del grano frammisto alle zizzanie. “Il regno dei cieli è simile a [ciò che avviene quando] una rete [è] gettata nel mare [per la pesca] … Quando è piena …”. Il processo è iniziato e avanza inesorabile verso un compimento. 

Gesù ha chiamato i suoi discepoli, ha affidato loro una grande missione, quella di pescare uomini, non pescare con l’amo, ma con la rete perché il loro compito è quello di tirar fuori dalle acque del mare che sono il simbolo di tutte le forze di morte, di corruzione morale, di passioni sregolate, di cattive compagnie, di droga e di tutto quello che impedisce all’uomo di vivere. Devono tirar fuori gli uomini da questa condizione per collocarli nelle acque di vita che è lo Spirito di Cristo. 

Alla fine dei tempi avverrà una distinzione come quella che fanno i pescatori e il testo greco, a differenza della nostra traduzione, dice che gli angeli faranno la separazione “tra le cose belle e le cose marce” cioè morte. Non afferma che ci sono uomini vivi e uomini morti, dice che nella rete c’è del bello e del marcio che sono presenti in ogni uomo.

Certo c’è una minaccia, in questa parabola. Ma contemporaneamente c’è la grande e lieta notizia per ognuno di noi che rimarrà accolta nel regno del Padre la parte bella, presente in ogni persona. In fin dei conti l’oro viene purificato nel crogiuolo che lo rende puro, tutto il male, il marcio sarà consumato dal fuoco dell’incontro con l’amore infinito del Padre che porterà una grande gioia

Avete compreso tutte queste cose?” chiede alla fine Gesù: la nostra risposta?

(BiGio)


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