Gesù ha avuto le sue tre tentazioni. Oggi avverte che ogni Comunità deve essere sempre attenta a non cadere in tre tentazioni che infestano come le zizzanie (al plurale!) la sua vita: la perfezione, la grandezza e sovrastimarsi.
La scorsa domenica abbiamo visto come Gesù, considerato che l’aver espresso il suo messaggio chiaramente supportandolo con segni, guarigioni e miracoli, non avesse portato ad essere compreso dalla numerosa folla che lo seguiva e veniva ad ascoltarlo, dopo un momento di scoramento cambia strategia ed inizia a proporlo attraverso delle parabole legate all’ambiente di vita quotidiana.
Lo ritroviamo seduto su di una barca vicino alla riva dove si trovano le persone accorse. La barca rappresenta la Chiesa pronta a salpare con coloro che accetteranno di salire a bordo per iniziare una traversata che li porterà a passare da una realtà verso la realizzazione del Regno dei Cieli e non nei Cieli così come facilmente è stato traslitterato. In questo modo se ne prospettava la realizzazione nel mondo a venire dopo la parusia e il giudizio, escludendone ogni possibilità nel presente e tendendo così ad acquietare ogni istanza di cambiamento nell’oggi.
Con la prima parabola raccontata e ascoltata domenica scorsa, Gesù ha posto l’attenzione sulla nostra realtà, sulle personali capacità di ogni discepolo (quindi anche sule nostre) di ascoltare, accogliere, far nostra e far germogliare la semente della Parola che il seminatore sparge a piene mani sul terreno delle nostre vite a volte distratte, altre infiammate da un entusiasmo che si placa dopo poche ore o, ancora, talmente piene di cosa da fare nelle quali non trova spazio per germogliare. Certo, assieme a tutti questi tre tipologie, contemporaneamente nella nostra vita c’è anche del “bel” terreno fertile ed è quello dissodato e preparato all’ascolto fecondo. Quindi l’invito è stato quello di riuscire ad esserne consapevoli, senza alcun rimprovero, ma anche senza porre scuse apriori.
Nel “discorso missionario” con il quale aveva cercato di preparare i discepoli, l’attenzione era stata posta sulle modalità e sulle difficoltà che si sarebbero incontrate. Oggi con le tre parabole proposte, Gesù pone l’attenzione sulle comunità che sarebbero sorte dall’annuncio e avvisa di stare bene attenti a tre pericoli, a tre tentazioni che si sarebbero manifestate ieri come oggi: il campo di grano e il pericolo di volere una comunità di eletti; la semente di senape ovvero la tentazione di pensarsi “in grande” come un cedro che svetta imponente su di una collina; la misura del lievito: piccola parte di una immensa pasta che non deve lasciare spazio a pensare sia impossibile e a scoraggiarsi.
La parabola del grano e delle zizzanie (al plurale!) cerca di far comprendere che nella nostra realtà il bene e il male coesistono, è inutile illudersi che possano esistere comunità di perfetti dove tutto funziona in un accordo senza limiti o cercare di operare perché ciò che ci appare come zizzanie e ci disturba venga strappato fin dall’inizio. In fin dei conti è nella natura stessa dell’uomo che coesistono aspetti positivi e negativi lungo tutta la sua vita; questo non può non manifestarsi negli ambiti che lui frequenta. Certo, siamo tutti zelanti e vorremmo sempre il meglio accantonando ciò che ci pare disturbi o possa portarci fuori strada, ma se i frutti saranno buoni si può vedere solo alla fine. All’inizio le zizzanie e il grano hanno spighe confondibili, solo quando sono mature le prime hanno un seme nerastro (ed è tossico perché un narcotico) e non biondo; quindi è facile individuarle, non prima. Bisogna avere pazienza, le fughe in avanti non servono anzi sono dannose.
Ma le zizzanie crescono all’interno di ogni uomo, sono una parte costitutiva delle nostre stesse persone e crescono a fianco del grano buono. Sono l’orgoglio, la volontà di prevalere sugli altri, le passioni sregolate e soprattutto l’attaccamento ai beni, al denaro che ci porta a ignorare il bisogno del povero o, peggio, sfruttarlo. Gesù desidera dirci che la parte delle zizzanie dentro ogni uomo, dentro ogni comunità è quella che va amata di più, va accompagnata nel suo percorso faticoso con la pazienza della misericordia del Padre; allora il momento della mietitura sarà un momento di gioia nel quale le zizzanie verranno bruciate e di ogni uomo, di ogni comunità rimarrà solo la parte buona che sarà radunata nel granaio.
La senape per lo più è un’erba infestante difficile da controllare per via dei suoi semi infinitesimali, quasi impalpabili, che può crescere fino a diventare un cespuglio o anche un albero sotto il quale trovare riparo. Gesù la propone come un’immagine del Regno di Dio perché nel libro del profeta Ezechiele (al cap.17), questo viene presentato come un cedro sulla sommità di una collina, pianta maestosa che attira l’attenzione di tutti. No, dice Gesù, la semente quasi invisibile del Regno che siete voi, che siamo noi, è tutt’altro; è così piccola che si diffonde senza la possibilità di controllarla e giunge a pervadere l’intera realtà dal di dentro. Nessuna grandezza, nessuna imponenza (pensiamo a certi pontificali o a certe strutture ecclesiali) ma molta semplicità a vivificare e modificare il modo di vivere trasformandolo nella realtà nel Regno di Dio piano piano.
Gesù non si ferma qui e, rincarando la dose, ecco la terza parabola. Al centro una misura di lievito e tre di farina (circa quaranta chili): basterà a far lievitare tanta farina e farla diventare una pasta pronta per il forno? Difficile dirlo, ma non preoccupatevi, dice Gesù, la Parola come un piccolo seme, come un poco di lievito farà il suo lavoro al di là di ogni possibilità pensabile; si deve solo essere noi stessi e vivere alla luce della Parola senza sovrastimare le proprie possibilità, rimanendo coscienti della nostra realtà. Noi siamo il lievito, chi impasta è il Padre.
Da notare che la settimana scorsa, Gesù ha spiegato la parabola del seminatore e dei terreni di sua propria volontà. Oggi, invece imperativamente l’unica parabola che i discepoli chiedono di spiegare è quella delle zizzanie perché le loro attese messianiche sono e continuano ad essere altre rispetto alle Beatitudini: e le nostre?
In sintesi Gesù desidera dirci che non siamo una comunità di eletti, che anche nel suo massimo splendore la Chiesa non attirerà l’attenzione per la sua grandezza, ma come una pianta infestante arriverà ovunque. Infine c’è l’invito a non spaventarsi davanti al lavoro da fare, ma ci si deve mescolare nella realtà esistente per trasformarla e c’è un garante su tutto questo: Gesù, il Cristo.
(BiGio)
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