Una lettura ebraica delle parabole di Gesù ne evidenzia ancora una volta la caretteristica di narrazioni che sfidano, provocano, condannano e divertono.
Uno dei libri più sorprendenti che mi sia mai capitato di leggere è senz’altro Le parabole di Gesù – I racconti enigmatici di un rabbi controverso (ed. Effatà). L’autrice si chiama Amy-Jill Levine, ebrea ortodossa, docente di Nuovo Testamento all’università di Vanderbilt (Tennessee, USA), membro del comitato di redazione di Donne Chiesa Mondo, supplemento dell’Osservatore Romano, e visiting professor al Pontificio Istituto Biblico di Roma.La domanda di partenza della sua ricerca, apparentemente innocua e quasi ovvia, è: come comprendevano le parabole di Gesù i suoi ascoltatori del I sec. d.C.? Avevano sicuramente un contesto culturale diverso dal nostro, il quale – per altro – è stato in parte formato proprio dalle categorie di pensiero introdotte dal messaggio di Cristo, così come è stato compreso e cristallizzato nei secoli. Chi ascoltava Gesù per la prima volta necessariamente possedeva un altro background e a partire da quello attribuiva significati alle “storie” raccontate da lui.Fin qui tutto liscio, no? Bene, allora proviamo a seguire l’analisi che la Levine fa di queste storie, e vediamo cosa ne viene fuori. Cominciamo da una delle più famose, quella che per secoli è stata intitolata ...
L'intervento di Maria Grazia Giordano sul tema a questo link:
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