In una delle mie ultime conversazioni con Silvano Maggiani, noto liturgista italiano scomparso due anni fa, ebbi a confessargli il mio disagio nel partecipare alla liturgia. Gli dicevo che mi sembrava tutto finto: i gesti, le parole, le vesti… Se mi guardo attorno – aggiungevo – vedo persone annoiate, sempre più poche e lì presenti per abitudine... Insomma niente gioia, niente comunità, niente che tocchi veramente i presenti, celebrante incluso, anch’esso poco convinto e convincente.
Sono passati quasi 60 anni dalla promulgazione della Sacrosanctum Concilium, la magna carta della riforma liturgica e, a guardarsi attorno, si capisce come quella svolta, quello sforzo non siano bastati, non fosse altro perché tutto è perennemente in movimento e chiede costante e duttile adattamento. Per non dire dei nostalgici del rito antico.
Sì, la celebrazione liturgica costituisce oggi un grosso, grossissimo problema. E uno dei suoi nodi riguarda le donne. Infatti è in essa evidente una distonia di “genere”.
Non è mai stata facile la loro partecipazione. Lasciata l’ekklesia kat’oikon, la Chiesa nelle case, dove forse esse hanno anche presieduto la Cena del Signore, il più delle volte sono state risospinte in un limbo di non partecipazione, come i laici del resto. Agostino testimonia la separazione di uomini e donne all’interno della navata e la giustifica a partire dall’intreccio delle voci maschili e femminili. Crisostomo però dice che un tempo non era così e si duole per l’essersi allontanati dallo stile delle comunità più antiche. ...
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