Gente disperata o gente di speranza?

A partire da Leopardi qualche appunto sulla felicità e sulle difficoltà della vita, e su come da cristiani siamo chiamati a coniugarle nel quotidiano

«Leopardi era pessimista, eppure anche lui continuava a sperare ogni singola volta. Non si è mai arreso: diceva che la felicità era solo un intervallo fra un dolore e l’altro, è vero. Ma non mi sembra che si sia mai rifiutato di cercare quegli intervalli ogni volta che era possibile.    
Anzi, è proprio dei pessimisti cercare di aggrapparsi come possono alla felicità ogni volta che la trovano, perché per primi sanno quanto possa essere rara e preziosa». Così scriveva qualche anno fa su un social network una mia ex alunna ormai laureata, pensiero che ho da allora conservato con cura.

La felicità non è la risata facile o l’ilarità smodata, non è la vittoria della propria squadra né una vincita alla lotteria, non è però neanche il pensare di aver trovato tutte le risposte ai propri problemi e ritenere di essere tanto nella verità che l’importante è che noi siamo felici e che magari la felicità dell’altro possa dipendere da noi. E per un cristiano che cos’è la felicità? Mi piace allora riportare una frase che mi ritorna in mente costantemente: Chi ha incontrato Gesù Cristo è felice, ma se non lo è, vuol dire che ha incontrato qualcun altro!

Un cristiano, dunque, può essere pessimista ed infelice?

L'articolo di Marco Pappalardo continua a questo link:

https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/gente-disperata-o-gente-di-speranza/

 


 

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