“Il lavoro è fatica, oltre che cura del mondo. La spiritualità del lavoro è connessa con il mistero pasquale di croce e risurrezione, di passione e rinascita”: una riflessione del direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. Aggiunge: “Compito della comunità cristiana non è forse ancora oggi quello di mettersi in ascolto del grido dei lavoratori che lamentano insicurezza, precariato, sfruttamento?”. E conclude: “Unire lavoro e preghiera è un modo per vegliare nella storia”
Lo stretto legame tra lavoro e preghiera appare una ovvietà. Tutti, infatti, attraverso il lavoro contribuiscono a prendersi cura del mondo e la preghiera è il respiro dell’anima per ogni credente. Perciò non deve meravigliare il fatto che un lavoratore credente preghi e veda nella sua attività molto di più che un mezzo di sostentamento.
Il problema è un altro: come pregare? La preghiera va vissuta fuori dai luoghi di lavoro (in parrocchia, in famiglia, come vorrebbe qualche spiritualista) oppure può essere di casa proprio in quegli ambienti? Per chi vive la professione in modo “libero, creativo, partecipativo e solidale” (Evangelii gaudium 192) sgorga spontanea la gratitudine per un lavoro che fa sentire realizzati. Al contrario, se è esperienza fallimentare di sfruttamento e di degrado umano, il mestiere appare come una maledizione e la preghiera diventa difficile. La qualità delle relazioni fa la differenza. La preghiera stessa del lavoratore subisce l’influsso dell’ambiente in cui trascorre una buona parte della vita....
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