Non siamo però in tempi ecumenici. Ovunque si è raffreddato l’entusiasmo per l’unità dei cristiani, forte nella seconda metà del Novecento e dopo il Vaticano II. Il dialogo teologico ha fatto seri passi in avanti, ma è ancora parziale. Ci sono problemi teologici, ma soprattutto di storia e mentalità. Il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Athenagoras, morto nel 1972, che tanto operò per l’ecumenismo, colse l’incipiente processo di unificazione del mondo: invitò i leader cristiani a non arrivare divisi a quell’appuntamento.
Nazionalismi, etnicismi, diverse culture pesano sulle Chiese. Le opinioni pubbliche cristiane, ieri sensibili all’ecumenismo, ora lo sono poco. Di fronte al rischio di conflitti e frammentazioni, la coincidenza — grazie al calendario — della data di Pasqua nel 2025 tra Oriente e Occidente appare un’occasione da non perdere. Certo siamo lontani da quel 1978, in cui il metropolita russo Nikodim, gran tessitore di rapporti con i papi, diceva al giovane Kyrill di fronte alla basilica di San Pietro: «Nel 2000 con loro saremo uniti!». Di fronte alle guerre aperte e al rischio di guerre più larghe, le Chiese non dovrebbero, per loro missione, richiamare all’unità? Il Vaticano II ne aveva spiegato la
missione, riprendendo l’antica visione della Chiesa, «sacramento di unità del genere umano». Ma le priorità di varie Chiese oggi sono altre.
L'intera riflessione di Andrea Riccardi è a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202405/240506riccardi.pdf
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