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Domenica VI PA - Mc 1,40-45

Il lebbroso non chiede di essere "guarito" ma "purificato" cioè di diventare nuovamente capace di di guardare, amare ed agire come Dio

Nel testo greco Gesù non si "muove a compassione" ma si "indigna": perché? Non ammonendolo severamente lo cacciò via” ma "brontolando lo cacciò fuori": fuori da dove che erano all'aperto?



Gesù ha iniziato la sua missione annunciando che il Regno di Dio si è fatto prossimo all’umanità; subito dopo ha iniziato a coinvolgere nel suo compito degli uomini non chiedendo loro di lasciare il loro mestiere, ma di modificare il loro modo di vivere svincolandosi dalle reti che li tenevano agganciati a prassi dove al centro c’era il loro io e, invece, di iniziare a guardare il bisogno dell’altro aiutandoli a passare dalla loro bolla ripiegati su se stessi, all’aprirsi ad un mondo dove la solidarietà sta al centro. Un coinvolgimento in una missione che è urgente ed è evidenziata da un aggettivo che cadenza l’intero racconto: “subito”.

Marco ci ha poi presentato alcuni esempi di guarigioni da “malattie” il cui effetto è quello di impedire di servire e richiedono invece di essere serviti.  Cercando di dare loro un nome possiamo identificarle con l’orgoglio, la sete di potere, invidie, gelosie, l’uso della forza, l’ipocrisia che vengono instillati nell’umanità dagli “spiriti impuri”, aggettivo che non ha nulla a che vedere con la sessualità bensì con l’essere volontariamente incapaci di guardare e amare come guarda Dio. Tanto è vero che l’effetto dell’essere guariti è l’aprirsi all’attenzione, al servizio degli altri come, per esempio, accade alla suocera di Pietro che si mise a “servirli”.

Un’altra caratteristica di chi è “malato”, è che ha bisogno di qualcuno che lo sorregga e lo accompagni verso la guarigione. È quello che accade davanti alla casa di Simone dove una folla porta i suoi malati perché vendano guariti.

 

Ma c’è una malattia che isolava e nessuno poteva farci nulla anzi, ci si doveva tenere lontani, nessuno si poteva fare prossimo: nella Scrittura è la lebbra. Se l’attualizziamo con l’ottica degli “spiriti impuri”, è tutto ciò che fa perdere la sensibilità morale, la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Chi ne viene in contatto, può facilmente esserne contagiato e convolto in quella spirale perversa diventando irriconoscibile come uomo. Il potere e l’ansia del possesso anche dell’altro può portare a delle aberrazioni violente; un solo esempio: nei rapporti di genere tra uomini e donne.

Le persone che ne sono colpite non hanno davvero nessuna speranza di guarire? Sono “scomunicate”, cioè fuori della comunità umana per sempre? Sono costrette a farla solo tra di loro creando realtà, corpi sociali paralleli per sempre? Sono abbandonate, rifiutate, anche da Dio?

È quest’ultima un’immagine di dio (con la “d” minuscola), un idolo che ci si è costruiti volendosi sostituire a Lui. Questa concezione papa Francesco la nega con determinazione contrapponendovi la coscienza del volto di misericordia infinita per tutto e per tutti del Padre che sta attendendo il figlio che se n’è andato, rivendicando la sua indipendenza attraverso la finzione che sia morto: non è questo forse quella richiesta di avere la propria quota di eredità (Lc 15)? 

L’Evangelo di oggi ci dice che non è impossibile e c’è un percorso credibile che può far guarire dal questa terribile “malattia”. Il primo passo è quello di rendersi conto di esserne colpiti; questo offre la possibilità di quella “conversione” alla quale Gesù appella, che è la condizione per poter essere immersi nel Vangelo. Non in un credere astratto, ma nell’essere concretamente coinvolti in un nuovo modo di vivere. Non è né facile né indolore ma è possibile; ce lo testimonia quel grido straziante dell’indemoniato mentre viene liberato nella Sinagoga di Cafarnao dal suo “spirito impuro”.

Il lebbroso va verso Gesù da solo perché nessuno può accompagnarlo e, gettandosi in ginocchio ai suoi piedi, non dice “guariscimi” bensì “Se tu vuoi, puoi purificarmi”. 

La nostra traduzione ci dice che Gesù fu “mosso a compassione”, in realtà il termine greco usato significa che si è indignato. Parafrasando si può capirne il perché: Se tu vuoi?” Se tu vuoi puoi rendermi capace di guardare e amare come guarda Dio? Ma che razza di idea di me, di Dio hai o ti hanno inculcato in mente? Allora “tese la mano, lo toccò e gli disse (certo che) lo voglio, sii purificatosubito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato” (vale la pena di ricordare che questo termine significa essere tornati capaci di guardare, amare ed agire come Dio).

Gesù di nuovo come con la suocera di Simone tende la mano, tocca, aiuta a risollevarsi. Il nostro Dio non è un Dio lontano, è un Dio che si fa vicino, sta in mezzo ai peccatori ed è venuto per dirci che mai ci dobbiamo permettere di pensare che può escludere qualcuno dal suo amore, in qualunque condizione si trovi. Ecco perché “ammonendolo severamente lo cacciò via”. In realtà il testo greco dice “brontolando lo cacciò fuori”: fuori da cosa che erano all’aperto? Da quel modo di pensare Dio ed è questo che da subito il lebbroso purificato va ad annunciare a tutti, anzi a proclamare il messaggio (questo scrive Marco), la lieta novella che il Regno di Dio è giunto tra di noi, basta accorgercene, accoglierlo, farlo proprio e portarlo a tutti.

(BiGio)

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