Gesù paga il prezzo di uno scatto di compassione

Ora è Gesù che se ne deve stare “fuori” dalle città, in quei luoghi deserti in cui si era ritirato a pregare. Fuori, sì, ma accessibile a quanti venivano a lui da ogni parte.

 


Il brano di questa domenica narra un ulteriore episodio di guarigione, secondo una modalità ancora diversa dalle due precedenti. L’incontro di Gesù con l’uomo posseduto, nella sinagoga, era avvenuto in modo casuale; quello con la suocera di Simone, perché gli avevano parlato di lei; ora invece è il lebbroso che va da Gesù e lo supplica: “Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio”.

Sono tante le vie per le quali avviene l’incontro con salvezza. A volte, come in questo caso, è lo stesso malato che deve trovare la via, nella solitudine più totale. Lo si comprende: si tratta di un lebbroso, dunque di un escluso dalla società, di un emarginato cui nessuno più pensa. Escluso da quei “tutti” - dunque qualcuno mancava! - che erano stati portati a Gesù la sera del sabato (1,32).

L’escluso però, cioè colui che Gesù non incontrerà né nella sinagoga (assemblea liturgica) né in casa (consesso familiare) ma nel luogo indeterminato della sua derelizione, non si scoraggia. 

Isolato da tutti, ma non da Gesù. Nell’economia del racconto non sfugge questo particolare, che cioè il lebbroso trova comunque il modo di accedere al Maestro nonostante nessuno intercede per lui né lo conduce al Maestro. Chi avrebbe osato condurre un lebbroso? Ma la via per andare a Gesù non gli è del tutto preclusa.

Se vuoi, puoi purificarmi”. Si tratta di una vera professione di fede, che pone Gesù a livello di quei pochi personaggi che avevano guarito malati di lebbra: Mosè (Nm 12,9-14) ed Eliseo (2Re 5,9-14). Egli riconosce la qualità profetica e messianica di Gesù, ma gli lascia la libertà di agire. Fa appello al suo cuore, che prontamente risponde. Lo tocca con la mano. 

Non teme di contaminarsi né di contrarre lui stesso l’impurità della lebbra. Gesù agisce come, poco prima, con la suocera di Simone. La guarigione passa attraverso un contatto fisico, non è magia che si realizza a distanza. Prevede un coinvolgimento personale e profondo.

Dopo il gesto, è la volta della parola: “Lo voglio, sii purificato!”. Affermazione di altissima intensità, paragonabile al “se vuoi” del lebbroso. Se nella parola dell’uomo malato possiamo ravvedere una professione di fede, in questa risposta di Gesù abbiamo una rivelazione del cuore stesso di Dio. In quel “lo voglio” non vi è solo la parola efficace che guarisce il malato lì presente, ma anche il grido di Dio dinanzi a ogni sofferenza, che cioè suo desiderio e fine di ogni sua azione è la salvezza e la vita per ogni frammento della creazione. In quell’affermazione è rivelata la ragione che sottostà a ogni gesto e parola di Gesù, e dunque il senso stesso della sua missione e la volontà del Padre che egli è venuto a rivelare.

A questo punto il racconto, giunto al suo culmine, avrebbe potuto concludersi. Ma così non è.  Gesù, infatti, dinanzi a quell’esito straordinario, reagisce in modo curioso. Innanzitutto si irrita. Le traduzioni moderne cercano solitamente di attenuare il testo che andrebbe tradotto non con “ammonendolo severamente” ma con “indignandosi” o “irritandosi” (dal greco embrimáomai). La reazione è così sorprendente che gli altri Sinottici la omettono e “Lo cacciò via subito”, dove Marco usa il verbo normalmente impiegato quando Gesù scaccia i demoni (ekbállo). Quindi gli impone di “non dire nulla a nessuno” e di presentarsi al sacerdote con l’offerta prevista da Mosè.

Come intendere una tale reazione? Le ipotesi avanzate sono varie. Ne aggiungo una, che mi è ispirata dal contesto, cioè da quel momento di ripensamento che Gesù sta vivendo, denotato da quel ritirarsi in solitudine di cui Marco ha parlato nel brano precedente. È come se Gesù, resosi conto del fraintendimento in atto, avrebbe evitato volentieri quell’incontro. Ma dinanzi all’uomo ferito e alla fiducia che questi gli mostra con quel “se vuoi”, Gesù è come rapito e condotto a mettere da parte quanto appena pianificato. C’è davanti a lui un essere umano nel suo bisogno e Gesù risponde con quanto di più vero porta in cuore: il suo desiderio di vita anche per lui: “Lo voglio!”.

Da una parte non vuole moltiplicare le guarigioni per non essere mal compreso, ma dall’altra, la miseria – e la parola! - dell’uomo affetto da lebbra lo vince. Come sarà capace di fare la donna siro-fenicia, poco oltre, quando gli dirà: “Anche i cagnolini, sotto la tavola, mangiano le briciole dei figli” (7,28).

Per di più l’uomo guarito non obbedisce all’ingiunzione di Gesù di tacere e questi ne paga le conseguenze: “Non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte”. Gesù paga il prezzo di quello scatto frutto di compassione, di quell’atto di impazienza, prendendo il posto del lebbroso. Ora è lui a non poter più entrare in città. Ora è lui che se ne deve stare “fuori”, in quei luoghi deserti in cui si era ritirato a pregare. Fuori, sì, ma accessibile a quanti venivano a lui da ogni parte.

 

(Sabino Chialà)

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