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La risposta a una vita in salita nel disagio dell'incomprensione

«Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte». La vita dei tre discepoli alla sequela del Maestro Gesù cominciava ad essere come quel cammino verso la cima del monte: una vita in salita. 



Infatti ci troviamo al cuore di una crisi tra Gesù e la gente, ma anche con la sua comunità c’è una profonda incomprensione. Pochi giorni prima, Gesù aveva troncato di netto la richiesta di segni, di miracoli, di cose eccezionali, che le folle chiedevano (cfr. Mc 8,11-13). Poi aveva duramente rimproverato Pietro, che rifiutava la figura, in Gesù, di un Messia ripudiato dall'autorità, ucciso, risuscitato dopo tre giorni (cfr. Mc 8,31-33). Per i discepoli diventava davvero come una salita l’entrare in un'ottica paradossale per il mondo: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Un Messia che non raduna truppe, non frequenta quelli "giusti", quelli che contano; un Messia che non si fa pubblicità, che è un umile, un mite. A seguire Lui, si perde o si guadagna la vita?  
 
Sono domande che anche noi ci troviamo a porre, quando ci confrontiamo con la fede. È come se avessimo bisogno di un appoggio, di un sostegno, di una conferma. Forse sta qui il significato della trasfigurazione. Ma prima bisogna affrontare quella salita, quel lasciarsi prendere a parte rispetto ai nostri tanti pensieri; l'accettare di essere da soli, per vedere Lui solo, colui che, alla fine rimane, come esito vero della trasfigurazione: «Guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro».       
 
«Fu trasfigurato davanti a loro»: sì, proprio «davanti a loro». Questa volta, la lettura dell’episodio evangelico mi ha portato a porre l'accento su tale espressione: Gesù viene trasfigurato, ma al loro cospetto e alla loro vista. Proprio a loro tre, che si troveranno poi davanti ad un'altra visione, nell'orto degli ulivi: una trasfigurazione all’incontrario, quando non ci sarà più il loro Maestro in veste splendenti, ma con un'anima triste fino alla morte, fra la paura e l'angoscia (cfr. Mc 14,32-34). 
Proprio per questo, loro tre avevano bisogno di essere confermati, perché il legame con la sua morte e la sua risurrezione è fortissimo ed essenziale.          
 

Alla luce si aggiunge la voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato, ascoltatelo!» È la voce del Padre, e la voce della Parola. Quella voce è come se dicesse: non vi siete sbagliati. Siete in difficoltà e vi domandate se vale proprio la pena di seguirlo, di andar dietro a uno che è mite e umile, uno che va a perdere la vita. Ebbene, ne vale la pena. Ascoltate Lui.
I tre discepoli avevano bisogno della conferma sul monte, perché, nella sequela di Gesù, avrebbero dovuto affrontare ben altro monte, quello del Calvario. Perciò la trasfigurazione è come una conferma, come un velo alzato sul futuro, che è il dono della vita e della risurrezione, il futuro più futuro di Gesù di Nazaret, il futuro più futuro dei discepoli.
 
Celebrare la trasfigurazione in questa domenica comporta scendere dal monte e camminare dietro a Gesù, in questo mondo, forse come i discepoli, cioè nel disagio, nell'incomprensione, nella non piena coscienza, prima di essere sorpresi dalla luce della risurrezione.

(Alberto Vianello)

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