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Fu trasfigurato

La vita è considerata il valore più grande. Se ad essa si aggiungono la salute, i beni, la famiglia, la cultura, il prestigio sociale, tutte queste cose permettono la vera realizzazione dell'uomo e la piena felicità. Questo è almeno ciò che molti pensano.

Gesù, invece, propone qualcosa di molto più grande, che relativizza tutto questo. 



Dice qualcosa di incredibile e illogico: "Chi vuole salvare la propria vita, la perderà". Cosa c'è di più grande della vita? L’amore. Per amore, Gesù è disposto a perdere la vita.

 

Gesù aveva annunciato ai discepoli il suo destino di sofferenza e di morte. La reazione di Pietro era stata di deciso rifiuto. Non poteva accettare che il Maestro potesse finire in quel modo. E poi, cosa sarebbe accaduto ai discepoli e ai loro sogni di grandezza? 

Gesù gli spiega che la vera grandezza è amare fino all’estremo, e se si deve dare la vita fisica per dare vita, questa sarebbe una vittoria, che dà senso pieno all'esistenza, non una sconfitta.

La costruzione del racconto della trasfigurazione vuole essere una spiegazione simbolica di questo insegnamento. Gesù offre ai tre discepoli più tentati dal potere, Pietro, Giacomo e Giovanni, un'esperienza unica: "Li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro". Il cambiamento di figura, la trasfigurazione di Gesù, va oltre ogni possibilità umana: "Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche". È una rivelazione, che toglie per un attimo il velo della vita quotidiana. 

L'immagine splendente di Gesù che i discepoli possono contemplare è una luce per affrontare le tenebre del destino annunciato. Vuole aiutarli a capire che la passione e la morte non sono l'ultima parola. Sono solo un passo verso la vittoria sulla morte, verso la vita trasfigurata e definitiva. Sono la manifestazione di una fedeltà estrema a un progetto di vita che esclude ogni forma di violenza e insegna un cammino di amore e di servizio fino ad accettare anche la morte.

Con Gesù appaiono due personaggi che rappresentano l'intero Antico Testamento: Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti. Avevano parlato con Dio faccia a faccia ed erano stati gli intermediari che avevano parlato al popolo in nome di Dio. Ora parlano con Gesù, che è la nuova manifestazione di Dio, che non ha più bisogno di altre mediazioni. Pietro non capisce e continua a proiettare Gesù nell'orizzonte dell'Antico Testamento. Attende un Messia potente, che doveva manifestarsi gloriosamente nella festa dei Tabernacoli, la grande festa in cui il popolo viveva per otto giorni in capanne di rami, in ricordo dei quarant'anni di pellegrinaggio nel deserto e del dono della Legge. Per questo Pietro propone: "Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia".

La voce del Padre rivela l'identità di Gesù: "Questi è il Figlio mio, l'amato", del quale già Isaia aveva profetizzato, nei canti del Servo sofferente, dicendo che avrebbe assunto su di sé i nostri errori: "Egli si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori. È stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità". Si deve ascoltare lui, anche quando sarà sfigurato dalla tortura: "Ascoltatelo!". Ora è lui la voce del Padre. Con la sua passione, morte e risurrezione egli rivela com'è Dio e qual è il cammino della donazione e della solidarietà che deve ispirare la vita del discepolo di Gesù. Nella lotta perché tutti abbiano vita, sarà disposto ad offrire la sua. 

Per seguire Gesù, i discepoli dovranno obbedire a questo invito del Padre e centrare la loro vita sull'ascolto della parola di Gesù. Anche Maria, la madre, lascerà come testamento lo stesso invito: "Fate quello che egli vi dirà": ascoltate la sua parola e mettetela in pratica.

 

(Bernardino Zanella)

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