A 40 anni dalla revisione del Concordato tra Italia e Chiesa cattolica - firmato il 18 febbraio 1984 dal premier Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato - sono ancora più evidenti luci e limiti di quel testo che voleva superare i Patti Lateranensi del 1929.
Negli anni Ottanta del secolo scorso era politicamente urgente adeguare quell’accordo, per tagliarne, sul lato italiano, i «rami secchi» (gli articoli incompatibili con la Carta costituzionale della Repubblica) e, sull’altro lato, abolire norme stridenti con l’eredità del Concilio Vaticano II (1962- 65). Infatti, il Trattato del ’29, distinto ma collegato con il Concordato, all’articolo primo affermava: «La religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato«. E, premesso che «L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica», il Concordato (articolo 36) stabiliva: esso, nelle scuole pubbliche, va affidato a docenti «approvati dall’autorità ecclesiastica». Il testo dell’84 abolì l’articolo 1° del Trattato, perché l’Italia, Stato laico, non ha più una religione ufficiale; a scuola, poi, l’«Insegnamento della religione cattolica» (Irc) è facoltativo; però i docenti, pur pagati dallo Stato, devono essere approvati dall’autorità ecclesiastica. La Conferenza episcopale italiana (Cei) a tutt’oggi ritiene assai soddisfacente tale regolamentazione, che rispetta la libertà degli alunni, i quali possono scegliere di non avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica; ma, oggi, quanti propongono di cambiare radicalmente lo «status quo», evidenziano che, spesso, non è affatto praticabile l’ora alternativa all’Irc; e, soprattutto, ritengono intollerabile che sia ancora obbligatorio il «nulla osta» episcopale per insegnarla.
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