Nel 1992, quando Carlo Sgorlon pubblica La foiba grande, le vicende del confine nordorientale sono ancora una storia negata: di foibe e di esodo si parla a Trieste e nelle comunità di profughi istriani e dalmati sparsi in Italia, ma non nei manuali di scuola, non nei corsi universitari, non nel dibattito pubblico.
Chi azzarda qualche riferimento è immediatamente sospettato di nostalgie fasciste. L’atteggiamento cambia nel corso degli anni successivi: nel 1996 Gianfranco Fini e Luciano Violante «sdoganano» le foibe in un pubblico dibattito all’università di Trieste, gravido di polemiche ma anche di aperture: da lì si sviluppa un confronto che porta il Parlamento, nel 2004, a votare a larghissima maggioranza la legge per l’istituzione della «Giornata del Ricordo» delle vittime delle foibe e dell’esodo, fissata al 10 febbraio (giorno in cui, nel 1947, è stato firmato il trattato di pace che ha assegnato l’Istria alla Jugoslavia). Difficile stabilire quanto Sgorlon abbia contribuito alla maturazione di una coscienza collettiva: certo è che il suo romanzo, in cui si mescolano invenzione e storia, è uno dei tasselli che hanno permesso di ridefinire la nostra memoria nazionale e sottrarre al silenzio la tragedia che alla fine della Seconda guerra mondiale si abbatte sugli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia.
Per comprendere....
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